mercoledì 7 ottobre 2015

Le parole giuste

Mi capita spesso di trattare con clienti che per risparmiare hanno adottato un sito internet buono un po' (a loro parere) per tutte le stagioni e per tutti i clienti.
Non funziona così. I siti internet commerciali devono comunicare l'impresa, devono parlare al navigatore e fare molte cose: orientarlo nelle scelte, spiegargli "chi è" l'impresa, perché fidarsi di essa, vendere attraverso l'e-commerce, dialogare, coinvolgerlo, stimolarlo.

Le imprese sono diversissime fra loro, anche quando operano nello stesso settore, poiché nascono da idee e sogni diversi, perché ciascun imprenditore ci mette il "sé" nella propria attività, il suo disegno e la propria visione del lavoro. Come potrebbero dunque gli stessi contenuti andar bene per tutti?

Ma non basta! Le imprese non sono dei monoliti, fanno cose diverse, si rivolgono a mercati differenti, ci sono infatti ditte che producono articoli e ne commercializzano altri, complementari magari, affini se vogliamo, ma che probabilmente sono destinati a consumatori differenti o agli stessi consumatori ma con esigenze diverse.

Se parliamo di imprese che trattano sia ingrosso che dettaglio le cose si complicano ancora di più.
In molti casi, quasi sempre direi, è opportuno dotarsi di siti differenti, destinati a clienti diversi, a mercati differenti. L'ingrosso si rivolge al B2B (gli affari fra imprese) e la comunicazione necessaria è diretta, immediata, tecnica, con strumenti (cataloghi, listini, scale sconti, schede prodotto ecc.) completamente diversi da quelli necessari a interagire con i consumatori (B2C).

Il consumatore deve essere informato sì, ma sopratutto coinvolto, il linguaggio e gli argomenti devono vertere prevalentemente sulla sfera emotiva e commerciale, dare risalto alla storia, alle persone, ai vantaggi di utilizzo dei prodotti, all'assistenza (quando prevista), alle modalità di acquisto, alla fidelizzazione del cliente.

Certamente due siti costano più di uno, ma se comunichiamo nel modo sbagliato ai mercati che ci portano i fatturati, rischiamo di fare più danni ad averlo un sito che a non averlo.

Se ci pensiamo bene, non si tratta di "quanti" siti dotarsi, ma di come articolare il progetto, poiché di esso fanno parte non solo i siti ma anche le strategie di web-marketing che passano anche per i social network, per l'email advertising, la pubblicità mirata ecc.

Le scelte migliori sono quelle ponderate, le scelte efficaci sono quelle adeguate ai mercati, e in mercati in continua evoluzione e cambiamento, rimanere sempre fermi non solo non fa avanzare ma fa addirittura retrocedere.

mercoledì 30 settembre 2015

3/33

Passaparola e la regola del 3/33
 Il passaparola: usare con cautela 
"La migliore pubblicità è il passaparola".
Me lo dicono spesso i clienti potenziali (o i prospect, in markettese), quelli cioè che visito per la prima volta per proporgli una campagna di webmarketing o un sito internet.

Che la trasformazione in Opinion Leader del cliente sia il massimo risultato raggiungibile, oltre e al di sopra la vendita stessa, è un fatto reale e un obiettivo fondamentale per l’impresa.
Non va però dimenticato che un sito internet non è pubblicità ma è comunicazione (di cui la pubblicità fa parte, certo, ma ha ruoli e compiti differenti).

Però è un’arma a doppio taglio, che va usata con cautela ed affiancata da altre forme di comunicazione da tenere sotto controllo continuo per tutelarsi e tutelare la propria reputazione.

Per avere un’idea concreta dei rischi che si corrono ad affidarsi soltanto al passaparola, vale la pena di ricordare la regola del 3/33: ipotizziamo di essere al ristorante e di gustare una tagliata che apprezziamo molto. Statisticamente, dopo questa piacevole esperienza, a tre persone, che ci chiederanno dove abbiamo mangiato bene, proporremo tre locali (per dimostrare che siamo persone di mondo) fra cui quello ove abbiamo apprezzato la tagliata.
Ora torniamo al nostro pasto al ristorante e immaginiamo che secondo noi la tagliata non si fa in quel modo e che non è di nostro gusto: dopo quell'esperienza (per noi negativa) avvertiremo trentatré amici di non andare in quel locale perché lì non sanno cucinare come si deve

Notare due cose: la prima è che il giudizio sul piatto non è oggettivo ma soggettivo (è secondo il nostro gusto che quella tagliata non è buona) e poi che l’azione dissuasiva è attiva e non passiva (siamo noi che sconsigliamo, a tutela dei nostri amici, senza aspettare che ci venga richiesto un parere). 

Ovviamente i numeri non vanno presi con il bilancino, non siamo di fronte ad una certezza matematica, ma questo non ci deve bastare a stare tranquilli. Inoltre l’esplosiva diffusione di internet e di siti che divulgano pareri sui locali (qualche volta purtroppo anche in malafede con opinioni pilotate), amplifica la questione raggiungendo dimensioni gigantesche e in tempi brevi.
La brand reputation ne risente e molto e nessuno oggi, nemmeno i grandi marchi, possono permettersi dei passaparola negativi

Per questi motivi è importante non contare solo sul passaparola per trovare clienti. 
Oggi non basta saper fare bene le cose, ma bisogna anche saper comunicare tali capacità, altrimenti veniamo soppiantati da chi fa meno bene di noi ma “si sa vendere”. 

Le soluzioni sono almeno tre: 
  1. tenere d’occhio la clientela per vedere se ci sono “ritorni”, il cliente realmente perduto è quello che sparisce senza dirci nulla (chi si lamenta ci sta dando una possibilità), poi 
  2. avere un buon sito internet ove chi non ci conosce possa farsi un’idea corretta della nostra attività (a patto di averne saputo gestire bene i contenuti), ed infine 
  3. insultarsi sui motori di ricerca poiché se associamo al nome della nostra ditta delle parole che fanno parte di commenti negativi, e troviamo dei risultati, vuol dire che dobbiamo stare in guardia e intervenire sia sul nostro lavoro per migliorarlo, sia sul forum o portale dove parlano male di noi per difendere (con toni pacati, fermi e concilianti) la nostra reputazione attraverso un controllo periodico quotidiano, o al massimo, settimanale.


Spubblicarsi è facile, recuperare è difficile. 
Il passaparola è una prassi pigra e pericolosa, se non controllata fa danni.

mercoledì 16 settembre 2015

Alla fine della fiera...

La fiera è finita, andiamo in pace. Sì, ma solo se abbiamo lavorato bene, abbiamo preparato a dovere la partecipazione all’evento, siamo stati attenti a non commettere i sette errori capitali visti nell’articolo del 7 settembre. Ora, a fiera finita, ci attendono due settimane impegnative: raccogliere i dati e inserirli nel database dei clienti potenziali, indicando in quale fiera li abbiamo conosciuti, cosa vogliono (un preventivo, un sopralluogo, una visita di approfondimento ecc.) e quando vogliono essere visitati.

Nella prima settimana invieremo un’e-mail (meglio una lettera: dato che quasi più nessuno usa questo mezzo di comunicazione almeno ci distingueremo per originalità) in cui ringrazieremo per averci visitati e la promessa che li contatteremo a breve per telefono per definire un appuntamento, poi si passa ad un lavoro certosino con cartina e pennarello per definire la provenienza geografica, e nella seconda settimana iniziare il giro di telefonate.

Non solo, nella fiera si sono incontrate molte persone, alcune più interessate altre meno, qualcuno ha mosso obiezioni, qualcuno ha dato suggerimenti. Dunque s’impone una riunione fra tutti coloro che hanno partecipato all’evento a vario titolo: cosa non ha funzionato e perché, come fare meglio per il prossimo anno, quali modifiche fare nell’approccio con i visitatori, allo stand, quanti contratti sono stati chiusi, quanti sono in via di definizione, quanti clienti già acquisiti ci hanno visitato, cos’hanno detto di noi e del nostro stand, le scorte sono bastate? Sì? Con quale giacenza? No? Cos’abbiamo sottovalutato e perché?

Poi la “resa dei conti”: quanto ci è costato il tutto? Tiriamo le somme al centesimo per l’evento fiera includendo tutte le voci dalla pubblicità ai trasporti, dalla logistica al noleggio allo stoccaggio, dalle imposte alla tariffa della fiera, dai volantini e brochure ai costi degli eventuali standisti di appoggio, dai pasti ai biglietti omaggio se la fiera era a pagamento. Insomma tirare le somme e compiere, a fronte del volume dei costi, quattro tipi di valutazione: 
  1. il rientro diretto dagli ordini in fiera, 
  2. il rientro da quelli a breve termine (15 giorni), 
  3. il rientro da quelli a medio termine (da 15 a trenta giorni), 
  4. il rientro da quelli oltre il mese.
Infine creare una previsione (forecast nel gergo markettese) in base ai contatti di coloro che desiderano un incontro entro i sei mesi.

Dopo una fiera, diventa fondamentale lo strumento della newsletter mensile cui iscrivere i visitatori (che hanno dato consenso scritto) per tenerli informati sulle novità della nostra ditta, in questo modo si crea interesse verso la nostra partecipazione all’edizione del prossimo anno della stessa fiera e, se si cambia, portarsi dietro i visitatori alla nuova fiera.

La newsletter è una sorta di giornalino che, con costi minimi e un po’ di tempo, può rivelarsi uno strumento di grande efficacia, sovente è legata al sito e ha costi contenuti a patto di essere redatta con attenzione alle regole di comunicazione e del web marketing.
Un buon lavoro post fiera è decisivo per il successo di tutto l’evento, per questo va affrontato con estrema cura e attenzione, pensando già a quello dell'anno venturo.

lunedì 7 settembre 2015

7 errori da non fare in fiera


Per molte imprese, sopratutto le imprese artigiane, l'arrivo dell'autunno comporta la partecipazione alle fiere come espositori. Fiere, sagre e manifestazioni analoghe comportano impegno e accorgimenti delicati e necessari. Vendere in questi casi è un atto vitale, più impellente del solito, poiché quando si è nel proprio negozio, atelier, laboratorio, officina ci si può anche permettere di dedicare più tempo alla produzione ma in fiera no. In fiera ci sono i costi da ammortizzare, il tempo da dedicare ai potenziali clienti, la dispersione tipica delle visite, talvolta annoiate. Vendere in fiera ha delle peculiarità particolari ed è facile incorrere in alcuni errori apparentemente minimi ma di vitale importanza per il successo o l'insuccesso della partecipazione, vediamoli insieme:


  1. Fiera piccola = piccolo impegno: in fiera ci si presenta al pubblico, a chi passa davanti al nostro stand, non interessa che la fiera sia grande o meno, interessa quello che c’è da vedere nel nostro spazio espositivo. Se ciò che vede è poco curato, penserà che lo sia anche la nostra attività. E’ un cliente potenzialmente perso. Un danno certo.
  2. Tanto non viene nessuno, chiudo lo stand: la fiera la si visita per tanti motivi, curiosità, per fare una passeggiata, per stare fra la gente, perché non si ha di meglio da fare ma soprattutto perché si ha bisogno di un determinato servizio o prodotto e si pensa di trovarlo, a condizioni di maggior favore, proprio nella manifestazione fieristica. Quest’ultima categoria di visitatori rappresenta quella più remunerativa e, fra loro, chi può compie la visita proprio negli orari in cui ritiene esserci meno gente, per poter parlare, discutere, trattare, comprare in santa pace. Cosa c’è di peggio che fargli trovare lo stand chiuso con qualche telo o, peggio, con una striscia di plastica che nega l’accesso? Faccio fatica ad immaginarlo, ma riesco a immaginare benissimo la delusione e il conseguente astio verso il rivenditore. Anche se a pranzo si vede poca gente, ci si porta il panino da casa, senza aglio e cipolla (non possiamo ammorbare chi vuol farci guadagnare), cercando di stare leggeri per evitare il sonno postprandiale. A volte, in certi settori, basta un cliente per ripagarci di tutto il costo della partecipazione in fiera.
  3. Ho finito i biglietti da visita: questa è la peggiore delle mancanze per chi va in fiera… spesso, per ragioni a noi oscure, chi viene a visitare il nostro stand ha bisogno di ricontattarci in futuro o di trasmettere il nostro indirizzo a qualcun altro. E’ triste vedere a volte standisti che scrivono un numero di telefono su un pezzetto di carta improvvisato, si dà un’immagine sciatta e di ditta poco attenta che manifesta imperizia. Chi si affiderebbe a una ditta simile?
  4. Abbiamo il sito internet?: nel mio lavoro è spesso utile sapere se l’interlocutore ha un sito internet e sovente ce l’ha ma lo tiene ben nascosto. Perché? Perché il sito non lo si percepisce per quello che è, uno strumento che “comunica” l’azienda o l’attività artigiana, ma come una forma di pubblicità e quindi, come tale, estranea alla presenza in fiera. Invece è proprio in fiera la sua massima utilità, un gran numero di visitatori diventeranno navigatori che vedranno le pagine del sito, che cercheranno le cose che non abbiamo avuto tempo o modo di dirgli, che si affideranno al sito per vedere chi siamo, la nostra storia, i nostri prodotti, le soluzioni che abbiamo adottato. Se siamo impegnati con altri clienti, un visitatore che non può aspettare, ritornerà, magari più di una volta ma poi si stanca o ha altro da fare. Se non sa che abbiamo il sito come ci ritroverà? Allora scriviamolo in grande l'indirizzo del nostro sito, magari su uno striscione alle nostre spalle in alto, in modo che si possa vedere da lontano, in modo che chi non può parlarci ora ci parli dopo, chi non può comprare ora, compri dopo.
  5. Insidiare le belle ragazze: ebbene sì, succede anche questo, una ragazza rimane indietro o isolata rispetto a un gruppo con cui è venuta in fiera, e subito gli “avvoltoi” si lanciano all’assalto della preda. A parte il deprecabile atteggiamento di scarsa considerazione della donna, questo atteggiamento espone a rischi anche gravi: il fidanzato geloso che si accorge della scena e rivendica a modo suo le proprie ragioni (in fiera non si lavora bene con un occhio pesto e il mento e il ginocchio doloranti), il cliente che arriva un secondo dopo e che deve aspettare e, magari spazientito, se ne va o, più semplicemente, un rimando a quel paese dell’interessata (per cui se si fosse trattato di una potenziale cliente acquisita ora si tratta di una cliente certamente persa).
  6. Mostrare assoluta indifferenza o aver altro da fare: d’accordo, forse la fiera non sta dando i risultati previsti, ma chiudersi in sé stessi, leggendo il giornale sul tavolino davanti a tutti non aiuta certo a risollevare le sorti. Anche stare davanti al computer senza prestare attenzione a chi si ferma davanti allo stand è segno di maleducazione ma anche di leggerezza, anche se si è interessati ai prodotti, raramente si accetta di avvicinarsi e chiedere informazioni, per timidezza o perché l’atteggiamento dello standista in tutt’altre faccende affaccendato, indispettisce e indispone (a volte anche senza che il visitatore se ne renda conto, giustificando la sua presenza con un furtivo e negligente “…no stavo solo guardando…”) Il cliente, potenziale o meno, vuole attenzione, la esige e se non siamo disposti a dargliela, è meglio che in fiera non ci presentiamo proprio.
  7. Parlare ad alta voce e magari con più persone: questa è una delle mancanze meno frequenti, ma quando capita è disastrosa. Affianco al cliente con cui stiamo parlando se ne presenta un altro e noi ci rivolgiamo a lui chiedendogli cosa desidera, il primo non lo apprezza di sicuro, anche se dice il contrario, oppure parliamo così ad alta voce da disturbare il cliente che sta osservando un nostro prodotto, costui appena non ne potrà più (e la cosa succederà molto presto) abbandonerà lo stand per non farci mai più ritorno.

Ricordiamoci che il cliente vuole essere al centro della nostra attenzione, anche noi quando compriamo lo esigiamo. Bisogna rassicurare chi sta facendo in modo da farci portare il pane a casa. Pur senza adularlo, bisogna prestare attenzione a quello che ci dice il visitatore e capire cosa possiamo fare per renderlo nostro cliente e fare in modo che ce ne porti altri.

martedì 1 settembre 2015

Nella libreria!

"Vendere è come radersi" è disponibile presso la Libreria Belgravia di via Vicoforte 14 a Torino.
In vetrina, sugli scaffali e con buoni risultati di vendita, il libro prosegue la sua strada verso i lettori.




martedì 18 agosto 2015

Sugli scaffali!

Presso la libreria "Il Banco" in via Garibaldi a Torino è presente "Vendere è come radersi" sugli scaffali! In questi giorni di vacanza con tante librerie chiuse, questa non solo è aperta ma è anche molto frequentata!





mercoledì 5 agosto 2015

Sito Internet: posso farne a meno?

Un'indagine recente della CNA, pubblicata su La Repubblica del 6 luglio 2015 (leggi l'articolo), ha messo in evidenza un fatto che chi segue le PMI ha ben presente: l'approccio "complicato" delle piccole imprese col web.
Se il 12% di esse non possiede nemmeno un computer, il 35% non ha il sito internet.
Senza entrare nel dettaglio dell'indagine, ritengo utile qualche considerazione su cui le micro-imprese e le imprese artigiane farebbero bene, a mio avviso, a riflettere.

Anzitutto: è necessario il sito internet? Anche qui vale una logica che recita "tutto è necessario, nulla è indispensabile". In altre parole possiamo dire che il sito internet è qualcosa di cui forse si può fare a meno ma i costi di quest'assenza possono, nel tempo, diventare onerosi.
Quanto costa creare un catalogo cartaceo? Quanto costa aggiungerci nuovi prodotti nel corso del tempo? Quali problemi crea un errore di stampa? Quanto costa spedirlo ai potenziali clienti?
Appare dunque ovvio che i cataloghi oggi siano sempre più in formato elettronico e capiamo bene anche il perché: rapidità di aggiornamento, di divulgazione e consegna, immediatezza di correzioni.

Ma non è il solo costo da affrontare dalla sua non adozione: un sito internet risponde anche ad un'altra esigenza, ancora più profonda e immediata: i clienti sono sempre più informati, un'indagine Technorati del 2013 (citata nel libro "Vendere è come radersi"), spiega che le decisioni d'acquisto passano prima attraverso i blog, i social network e i siti istituzionali delle imprese. Questo significa che quanto più il cliente potenziale è informato, tanto più vuole essere rassicurato e, tanto più vuole essere rassicurato, tanto più avrà bisogno di risposte esaurienti e queste risposte le cercherà in Internet. Quale strumento migliore dunque di un sito internet che illustra, spiega, rassicura e informa il navigatore? Investire in un sito web (con o senza il commercio elettronico) significa essere nel posto giusto al momento giusto, ove cioè nascono le domande e dove bisogna dare le risposte. Le giuste risposte.

martedì 28 luglio 2015

In libreria!

Anche la libreria Belgravia di via Monginevro 44/bis  a Torino espone in vetrina "Vendere è come radersi"!



giovedì 23 luglio 2015

In vetrina!

Diverse librerie espongono "Vendere è come radersi" in vetrina.
La cosa, oltre a farmi un estremo piacere, dimostra l'interesse dei lettori per il libro.

I librai che hanno la copia in vetrina possono inviarmi due fotografie (una della vetrina col libro in evidenza e una della libreria, con tanto di indirizzo e località) e provvederò a pubblicarle sul blog e sulla pagina Facebook del libro. :)

Una delle prime è stata la libreria Donostia di via Monginevro 85 a Torino, nelle prossime settimane seguiranno le foto di altre librerie.



martedì 21 luglio 2015

Aforismi di giugno 2015

Pillole giugno 2015

Mai fare un sito internet senza aver visitato l'azienda cliente, averne respirato l'aria, visto i colori e percepito il clima.

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Nessun cliente è più importante della dignità del fornitore. Lamentele, obiezioni vanno bene ma maleducazione e arroganza no.

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Un errore delle imprese è pensare che il presente, nel bene e nel male, sia non solo quello che succede ma quello che succederà.

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Il vero danno non è la stupidità altrui ma l'assenza di determinazione nostra.

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Il successo non teme le sconfitte, se ne serve.

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Non serve fare se non si è pensato prima a essere.

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La matematica mal si concilia coi sentimenti. Si possono fare proiezioni, stime sulle vendite, ma certezze mai.

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Le scelte migliori non sono tanto quelle azzeccate ma quelle che si ha avuto il coraggio di affrontare malgrado tutto e tutti.

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I migliori successi si manifestano in quelle imprese che sanno far girare competenze e informazioni sia dentro che fuori l'azienda.

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Darsi obiettivi significa pianificare. Fatturare di più non è un obiettivo, è una speranza. Chi di speranza vive, disperato muore

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Se lasceremo parlare i nostri prodotti per la nostra azienda, diranno quello che vogliono, non quello che vogliamo.

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Non è internet la soluzione, ma l'uso che se ne fa. Troppo spesso ci dimentichiamo che gli strumenti sono dei mezzi non dei fini.

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È meglio la paura che il danno (proverbio astigiano). Prepararsi al peggio pensando al meglio è un buon metodo per prosperare.

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Il futuro è quell'insieme di azioni che nascono dal presente e si fondano nel passato


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A volte fare un passo indietro non serve a farne due avanti ma evitare di doverne fare quattro indietro.

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Millantare non serve, la disonestà è una cambiale che prima o poi si paga

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L'empatia è la caratteristica che differenzia l'uomo di vendita dall'uomo di marketing.

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Il futuro di una impresa non comincia nel momento in cui nasce un'idea ma nel momento in cui si pensa a come attuarla.


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Rendere il proprio ambiente di lavoro piacevole per sé è per gli altri è il più bel regalo che ci possiamo fare.

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Tutto quello che il mercato chiede all'impresa non è diverso da quello che chiede l'imprenditore quando è parte dei mercati.

martedì 30 giugno 2015

Le 5 regole del successo in fiera!

Per anni ho cercato i miei clienti nelle fiere, sia fiere locali che grandi manifestazioni. Frequentandole per scopi professionali ho osservato attentamente i comportamenti sia virtuosi che dannosi. Dato che si avvicina il periodo delle fiere che va da fine estate ai primi di dicembre, ho pensato di sintetizzare cinque comportamenti utili da tenere prima, durante e dopo l'evento cui si partecipa. Spero siano utili a portare a casa qualche risultato in più.


  1. I risultati migliori si conseguono nelle fiere che si sono già visitate.
    Partecipare ad una fiera che non si conosce è un rischio, ogni evento grande o piccolo che sia ha le sue peculiarità, il suo pubblico, i suoi limiti e i suoi pregi. La partecipazione in fiera comincia dall'edizione precedente, la si gira e rigira, si osservano le postazioni migliori, si osserva il pubblico che la frequenta, si verificano gli orari, la comodità/scomodità logistica. Soprattutto si parla con le persone, sia con i visitatori che con gli espositori. Alle persone piace scambiare quattro chiacchiere (magari davanti a un caffè), esprimere il proprio parere, il proprio punto di vista, essere d'aiuto. Dunque, con la dovuta discrezione e la massima attenzione, la visita preliminare all'edizione precedente quella che si vuole condividere è strategica.
  2. Esercizio fisico.
    La fiera è un evento faticoso, i più avvezzi sanno bene che nel primo giorno la resa è massima, nel secondo è media, dal terzo la fatica incalza progressivamente abbattendo pesantemente il rendimento. E' un fatto normale, fisiologico, inevitabile. Ma se non si può impedire, ci si può preparare. Dunque per almeno tre mesi prima (dipende ovviamente dal fisico e dalle condizioni di salute in generale) sarà opportuno camminare a passo sostenuto tanto, anzi parecchio percorrendo tratte sempre più lunghe. Non è necessario correre, ma abituare progressivamente il fisico ad affrontare situazioni di stress che per una settimana saranno pesanti.
  3. Mai farsi gli affari propri.
    Detta così sembra un invito a molestare i visitatori. Invece no. Il cliente è la fonte del nostro reddito. Accoglierlo, si fa per dire, intenti a scambiarsi sms, a leggere il giornale o a trafficare al computer (o tablet) non è un buon biglietto da visita. Anche il più interessato dei visitatori, colui che ci interrompe dagli affari nostri per chiederci informazioni, lo farà solo se il suo livello di interesse sarà davvero forte e comunque, anche se non se ne renderà conto, sarà infastidito o quanto meno imbarazzato. Se siamo in fiera ci siamo per fare affari, quelli veri, non gli affari nostri nell'indifferenza dei visitatori. Anche se la fiera è deludente bisogna stare all'erta: il buon affare può arrivare quando meno ce l'aspettiamo. Meglio essere preparati.
  4. Si chiude quando la fiera finisce, non prima.
    E' una brutta abitudine quella di iniziare a "sbaraccare" prima che l'evento sia terminato. Impoverisce la manifestazione, e infastidisce i visitatori che magari non sono potuti arrivare prima o sono stati intrattenuti da qualche manifestazione collaterale (non a caso in certe manifestazioni di un certo livello vi sono pesanti sanzioni per chi "sbaracca" prima). E' pur vero che quando i visitatori diventano radi il pensiero corre a casa, al piacere di stendersi nel letto o sul divano, ma la fiera ha un suo perché, una sua struttura temporale che va rispettata fino alla fine. Il visitatore dell'ultimo momento non sempre è un rompiscatole, talvolta è qualcuno che può dare un senso a tutta la partecipazione alla fiera. Avere pazienza di aspettare fino alla fine è un gesto che, magari inconsciamente, viene apprezzato e può dare degli ottimi frutti inaspettati. I visitatori del "tardi" infatti spesso sono coloro che vogliono concentrarsi sui prodotti e non essere infastiditi dalla folla. Sono i clienti potenziali migliori.
  5. Il dopo-fiera.
    "Alla fine della fiera" è un vecchio detto che sintetizza quello che resta di un lavoro svolto o di una situazione apparentemente complessa. Ebbene è una metafora reale ed efficace. E' il momento in cui si devono tirare le somme, ma attenzione: non tutte. Si valuta quanto si è venduto, si calcola a spanne quanti visitatori hanno interagito con lo stand, quanti contatti si sono raccolti. Il resto delle somme, non meno importante, è quello di ricontattare i visitatori interessati e farlo nella prima settimana, massimo dieci giorni. I buoni contatti sono come dei frutti, se si lasciano sulla pianta marciscono.
Le fiere sono la cerniera, il punto d'incontro, il contatto fra l'impresa e i mercati cui si rivolge, anche se l'impresa è piccola, la fiera è locale, i mercati sono volatili non importa. Quando l'impresa contatta fisicamente i mercati, sopratutto quelli potenziali, o ci va per fare affari o è preferibile che rimanga a casa.
Oppure visiti una fiera. :)


sabato 27 giugno 2015

Il bel lavoro brutto

"Fare il detective non è piacevole, per questo si chiama lavoro."
Questa idiozia la ripete ossessivamente uno spot di un noto serial televisivo poliziesco.
Chiunque l'abbia inventata o è cretino o è superficiale, certo non è una persona equilibrata o serena.

Il fatto che il lavoro debba essere spiacevole, sgradevole, pesante, faticoso è un retaggio medievale, retrivo, lontano da ogni considerazione e rispetto dell'essere umano.
Chiariamo un punto, non sono cieco da non sapere che ci sono lavori duri, pesanti e sgradevoli, ma lo sono anzitutto perché non piacciono a chi li fa e poi perché spesso sono malpagati, sottovalutati o gestiti male.

Ma anche pulire i bagni è un lavoro che può piacere, ci sono persone che percepiscono la loro prestazione, e spesso la loro vita, come servizio alla comunità. È anzitutto per questo che il lavoro comporta dignità. Poi conta come lo si esercita. Se lo si usa per danneggiare il prossimo a proprio o altrui vantaggio, se lo si imposta nella maniera sbagliata, se lo si priva degli strumenti idonei a renderlo più leggero e piacevole chiaramente è tutt'altro che piacevole.

Varcare la soglia del luogo di lavoro per esercitarlo, se fatto con piacere ed entusiasmo, perché si crede in quello che si fa, si ha fiducia in sé stessi e si pensa non solo a sé stessi, è la base del miglior successo per le imprese in cui questo avviene. I primi venditori dell'azienda sono i dipendenti che ne parlano bene.

Diffondere il principio secondo cui lavorare non è piacevole altrimenti non è lavorare è un modo di diseducare le persone alla felicità. È un atto indegno, è spargere malessere e malanimo. Io quello sceneggiato non lo guardo più.

Confucio diceva "Scegli un lavoro che ami e non dovrai mai lavorare un giorno nella tua vita”.

Quando facciamo un lavoro che ci piace, ci divertiamo, e se ci pagano per divertirci siamo prossimi alla felicità.
È faticoso? Sì! Ma lo è anche fare l'amore. Qualcuno potrebbe affermare seriamente che fare l'amore non è piacevole?

venerdì 26 giugno 2015

L'impresa fra Eros e Thanatos

Difficile, complicata, articolata, complessa... tutti aggettivi che ben delineano l'impresa anche quando è individuale, anche quando è una piccola attività artigiana. L'impresa vive, l'impresa si relaziona, l'impresa si comunica, l'impresa contribuisce con la sua esistenza a costruire il tessuto economico del Paese.

Quando visito le imprese per le mie consulenze sulla privacy, sul web marketing o sulla sicurezza, incontro persone, idee, entusiasmi, progetti, speranze, obiettivi. Ma incontro anche preoccupazione, amarezza, impreparazione, supponenza.
Il mio ruolo è quello di trasformare il Thanatos in Eros, lo spirito distruttivo in spirito costruttivo, la rinuncia in azione, l'aggressività in assertività.

Sono uno psicologo? No. Sono un imprenditore anche io, socio di una srl che fa consulenza alle imprese. Conosco anch'io le gioie e i dolori, le amarezze e le speranze dei clienti, ecco perché devo spingere l'imprenditore verso atti costruttivi.

Per questo ho scritto questo libro, per concentrare in poche parole concetti utili a riflettere, a rivedere e magari capovolgere i punti di vista, ad affrontare il lavoro da un'angolazione diversa. Non necessariamente la migliore in assoluto, ma la migliore per l'imprenditore.

Le imprese sono fatte di persone e solo le persone possono aiutarle a crescere.

martedì 16 giugno 2015

La privacy: se la conosci la ami!

Sovente nelle imprese la privacy viene vissuta come un incubo.
Adempimenti, carta, firme, documenti che girano e la sottile incertezza di non essere mai in regola.

Anzitutto partiamo dal presupposto che è bene che ad occuparsi di privacy in azienda sia un esperto. Un buon avvocato, bravissimo nel suo settore, non è detto che sia esperto di privacy.
Ho conosciuto aziende che vantavano il supporto di ottimi penalisti pur avendo delle carenze macroscopiche in fatto di privacy, non perché i professionisti non fossero capaci ma perché le loro specializzazioni erano altre, ma il rischio di sanzioni ricadeva sui titolari delle ditte.

Il fatto è che su questo tema si fa un po' di confusione. La privacy, nell'immaginario collettivo, è il principio secondo cui ciascuno si può fare i fatti propri senza che nessuno ci metta il naso se non per validi e gravi motivi. Un concetto molto anglosassone questo. In realtà la privacy in Italia, e in Europa, è la tutela e protezione dei dati personali, ben altra cosa dunque.

Il concetto di privacy, secondo la normativa nostrana è: i miei dati possono essere trattati 1) con il mio consenso, 2) sapendo chi li tratta, 3) sapendo come li tratta, 4) sapendo a chi vengono comunicati e perché, e se sì con il mio consenso, 5) cosa succede se non do il consenso, 6) a chi mi devo rivolgere per esercitare i miei diritti.
Questi principi sono ben diversi dal semplice "farmi gli affari miei senza che nessuno lo venga a sapere".

Ovviamente un quadro così delicato comporta che vi siano degli obblighi da parte delle imprese a tutelare questo diritto, poiché la privacy è un diritto. Sono questi accorgimenti che consentono alle persone di essere libere e tutelate; anche le imprese sono fatte di persone, persone che hanno il diritto che i loro dati, comunque trattati, siano soggetti a tutela. Nei fatti la privacy è il completamento del dettato costituzionale sulle libertà individuali.

Per questo, con la dovuta attenzione e senza grandi complicazioni, la privacy in azienda deve essere una priorità nei rapporti interni e nella gestione della clientela.

domenica 14 giugno 2015

Vendere è come radersi: Aforismi di aprile e maggio 2015

Vendere è come radersi: Aforismi di aprile e maggio 2015: Pillole Aprile - Maggio 2015.

Il libro continua sul blog!

Aforismi di aprile e maggio 2015

Pillole Aprile - Maggio 2015


Sentire e ascoltare sono due cose diverse, nelle trattative questa differenza è fondamentale.

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Gli affari sono fatti di relazioni, le relazioni sono fatte di intrecci di interessi che sono, bene o male, il motore degli affari

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Quante occasioni perdiamo per il timore di ammettere che forse ci eravamo sbagliati?

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Ogni idea ha una sua fattibilità. La differenza non è nella sua genialità ma nel quanto siamo disposti a spenderci per realizzarla.

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Il lunedì a volte è pesante, ma lo è anche per i colleghi. È dannoso scaricare sugli altri il malumore: torna indietro aumentato

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La chiarezza espositiva parte dall'attenta analisi degli interlocutori.

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Il clima aziendale non si impone lo si costruisce.

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Allontanare i clienti è più facile di quanto si pensi, basta trascurare la comunicazione.

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Ogni cambiamento è il frutto di un'evoluzione.

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Attenzione ai segnali dei dipendenti, quelli deboli permettono soluzioni efficaci, quelli forti essendo stati trascurati no.

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Avere chiari tutti gli aspetti del problema comporta la lucidità di riconoscerli. Della stessa lucidità si nutre la soluzione.

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Non si realizzano prodotti o servizi ma soluzioni.

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C'è chi sceglie, c'è chi guarda scegliere, c'è chi si fa scegliere. Qualunque sia la strategia, un'impresa deve sempre averne una.

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L'autoironia è la salvezza dell'imprenditore. L'autostima è il futuro di quello che fa.

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Cercare clienti e pianificare una strategia per trovarli è il primo passo di ogni attività imprenditoriale. Improvvisare danneggia.

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I clienti si perdono per i nostri errori che riconosciamo, ma soprattutto per quelli che non sappiamo di aver commesso.

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I genitori del successo sono il buon senso e l'esperienza. I cugini sono la fortuna e la competenza. Il nonno è il cuore.

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Tutto passa da internet e tutti ne usufruiscono, anche chi non lo usa direttamente. Allora è bene conoscerlo ed è stupido temerlo.

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Il lavoro di gruppo premia, crea entusiasmo, avvicina le soluzioni. Come nei concerti con più rockstar insieme sul palco.

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Parlare è importante, osservare è fondamentale, ascoltare è vitale.

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Organizzare comporta conoscenza delle persone e delle cose. L'imprenditore che sa cosa chiedere ai suoi collaboratori ha futuro.

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Un ambiente di lavoro è efficiente quando non pesa varcarne la soglia. L'efficienza si nutre di entusiasmo e partecipazione.

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Gli affari richiedono cautela, se si ha l'abitudine di mangiarsi le unghie, meglio non grattarsi le palle quando si è in ozio. ;)

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Ciò che resta è come lo diciamo non quello che diciamo

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Agire comporta pensare, pensare comporta ragionare, ragionare comporta progettare, progettare comporta agire.

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Saper delegare è decisivo per ottenere i risultati migliori. Lo faceva anche Alì Babà

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La qualità è una parte del mix del successo. Quando non la si sa comunicare è insufficiente. Quando è millantata è dannosa.

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Spesso la differenza non la fa la qualità (come dovrebbe) ma la comunicazione (come può).

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La cosa più difficile non è fare la cosa giusta, ma avere le idee chiare.

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Far circolare le informazioni è un ottimo sistema per dare futuro alle proprie idee.

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La comunicazione senza la strategia è come una vettura senza motore.

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Non è in quello che facciamo il segreto del nostro successo, ma nell'entusiasmo che ci mettiamo e nella determinazione che usiamo.

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Ciò che rende bello il mestiere del venditore è la sua autonomia. Cercare di controllarlo è un danno che l'azienda si autoinfligge

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Comunicare non vuol dire spararle grosse ma tenere alta l'attenzione sull'operato della propria azienda.

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Lo stress del tempo che non basta mai è un'insidia sempre in agguato. Gestire la fretta impone capacità di analisi delle priorità.

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"Volere è potere" non esclude, anzi impone, che ci si sappia mettere nelle condizioni di potere.

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Se siamo pronti a prenderci i meriti dei nostri successi, dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre sconfitte.

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Un clima aziendale sereno è un'ottima base per un successo duraturo.

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Lamentarsi è costruttivo solo se è il punto di partenza di una soluzione. Spesso confondiamo la lamentela con la constatazione.

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Un ordine è un atto di reciproca fiducia, la base su cui si regge il mercato, il punto di partenza di un nuovo successo.

venerdì 5 giugno 2015

Vi farò star male!

Quali sono le differenze fra un uomo di marketing e un uomo di vendita?

L'uomo di marketing ha una missione, quella di generare nuove esigenze, aspettative, desideri, insoddisfazioni, bramosie nel consumatore poiché solo in questo modo costui può avvertire la necessità di acquistare e quindi perpetuare il fatturato e di conseguenza il profitto.

L'uomo di vendita ha una missione, quella di collocare il prodotto e, sopratutto quella di continuare a farlo nel tempo. Chi vende, che sia un agente di commercio o un negoziante, un artigiano o un esercente, ha necessità di entrare in empatia col cliente. Se non lo fa, se non è attento alle sue esigenze, se non ha cura delle necessità di chi dovrà acquistare, difficilmente riuscirà a portare a casa la pagnotta. Se piazza un bidone o colloca prodotti invendibili, non avrà più opportunità di vendere e dunque di guadagnare. Ecco perché è l'ascolto la dote principale di un venditore.

Quindi la sua attenzione verso il cliente, la sua empatia sono elementi per lui vitali e, al contrario dell'uomo di marketing ha la necessità di farlo star bene. In altre parole possiamo affermare che l'empatia è la linea di demarcazione fra uomo di marketing e uomo di vendita, ciò che li differenzia.

Cito le parole inquietanti riportate in un bel libro di Lorenzo Montagna Lavapiubianco.biz [ed. Hops - Tecniche Nuove] dove a pagina 4 riporta un testo di Frédéric Beigbeder: "Sono un pubblicitario, inquino l'universo, sono quello che vi fa sognare cose che non avrete mai." "Quando a forza di risparmi riuscirete a pagarvi l'auto io l'avrò già fatta passare di moda. Sarò 3 tendenze avanti riuscendo a farvi sentire insoddisfatti. Vi drogo di novità. Farvi sbavare è la mia missione." "Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità perché la gente felice non consuma."

Insomma, sintentizzando, "Vi farò star male"

giovedì 21 maggio 2015

Aforismi di febbraio e marzo 2015

La premessa del libro è che ogni mattina, di ogni giorno lavorativo, pubblico una "pillola" su Twitter che si ribalta automaticamente sul mio profilo personale Facebook e sulla mia pagina Facebook Izzinosa.it

Periodicamente in questo blog pubblicherò gli aforismi del mese precedente, in questo modo il libro continuerà il suo percorso accompagnando il lettore con l'evoluzione dell'idea editoriale.

Buona lettura.

11 febbraio - 31 marzo 2015

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Ogni scelta va ponderata attentamente, poiché nulla ci restituirà il tempo perduto dietro ad un errore di valutazione.

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Proporre senza mettersi in gioco è come dire "armiamoci e partite". Le proposte hanno senso quando si è disposti a sostenerle.

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Ciò che decide l'imprenditore condiziona l'azienda. Ciò che decide il mercato condiziona l'imprenditore.

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Nessun venditore ha la verità in tasca. Negoziare significa saper ascoltare.

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Spesso prepararsi al peggio è il miglior metodo per ottenere il meglio.

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Semplificare è migliorare.

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Fare dando importanza agli altri rende molto più che fare isolati. Nessuno è un'isola, nemmeno un'impresa.

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Se non ci mettiamo l'anima le idee non servono a nulla.

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Fare e costruire sono due cose diverse. È l'entusiasmo che fa la differenza.

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Vendere non è una certezza, è un metodo.

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Ogni errore commesso, è un altro passo in avanti. Sta a noi orientarlo verso il successo o verso la rovina.

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Dire non necessariamente significa comunicare se non c'è l'interlocutore al centro dell'attenzione del parlante.

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Il sito internet malfatto o improvvisato produce danni sul breve termine e costi sul lungo termine.

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Dire che il problemi personali devono stare fuori dalla porta del posto di lavoro è come dire che il vento non deve soffiare.

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Ciò che avviene alla luce del sole, spesso è stato pensato alla luce della luna.

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Il rischio d'impresa è un ostacolo che si supera con la determinazione. Le idee chiare sono il frutto di una volontà forte.

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Ogni grande idea è fatta di tanti piccoli pensieri.

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E' nella cura dei dettagli che si annida il successo dell'impresa.

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L'impresa è fatta di tante piccole e grandi cose. Il segreto del successo passa anche per una saggia gestione delle priorità.

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La preparazione meticolosa di un evento professionale non deve togliere spazio alla fantasiosa gestione dell'imprevisto

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Fa più danni un atteggiamento sbagliato che una congiuntura economica.

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Crescere professionalmente comporta determinazione, impegno e consapevolezza di non sapere.

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Disfare talvolta è il miglior modo di fare.

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Ogni impresa ha una sua logica, quella vincente appartiene alle aziende che sanno di non essere le sole sul mercato.

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Con i colleghi di lavoro passiamo più tempo che con le nostre famiglie. Rendere difficile la vita agli altri è farci del male.

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Il sito internet è uno strumento di lavoro per l'impresa, non un palcoscenico per chi lo realizza.

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Costruire richiede pazienza ma impone impegno. I risultati non sono frutto del caso ma della determinazione

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Non basta sapere, bisogna fare. Il successo imprenditoriale è nella capacità di convogliare le competenze in atti concreti.

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Vendere con coscienza significa produrre conoscenza, anche minima.

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Il marketing è uno strumento non un fine.

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L'essenziale non è esserci ma durare.

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Comunicare l'impresa vuol dire dedicare tempo a pensare come gli altri giudicano il nostro lavoro.

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Se nel progettare il sito internet si è anteposto il marketing al lato tecnico allora funzionerà. Altrimenti saranno guai.

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Le competenze dell'imprenditore sono efficaci se integrate con quelle dei collaboratori. Nessuno è un'isola. Nessuno vince da solo.

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L'immagine aziendale è una di quelle caratteristiche che richiedono anni per essere create e attimi per essere distrutte.

lunedì 18 maggio 2015

Gli occhi negli occhi

Alla soglia dell'ultimo giorno del Salone Internazionale del Libro di Torino, prima di trarre le dovute conclusioni e avviare le successive azioni di marketing, emergono le prime sensazioni da questa faticosa ed entusiasmante kermesse.

Anzitutto la gente. Un concetto vasto, ampio, immenso. Non ha la connotazione politica del "popolo" o quello quasi spregiativo della "massa" e nemmeno quello caotico della "folla". L'immagine della gente è quella di tante teste, volti, occhi, sguardi, atteggiamenti, movimenti che ci include, ci avvolge e ci coinvolge.

Poi le persone. Coloro che si avvicinano, che emergono dall'insieme della gente e che interagiscono talvolta anche solo con uno sguardo o con un sorriso. Coloro che ci trasmettono qualcosa anche senza rendersene conto.

Infine gli incontri. Le persone che interagiscono direttamente, con cui si parla, si ride, ci si mette in relazione senza troppi formalismi. Sono momenti formativi, si impara, si offre qualcosa: idee, spunti, stati d'animo, parole di lieve conforto.

Tutto questo è il meraviglioso della fiera, un intreccio infinito e continuo di esistenze, di umanità che si rinnova ogni volta e che nei casi più intensi si sintetizza negli sguardi che si incrociano, quando ci si guarda negli occhi e si capisce che anche per pochi secondi c'è un'intesa da cui si esce più ricchi, di poco o di molto non conta, e che quella ricchezza farà parte di noi.
Anche se non ce ne accorgeremo mai.

domenica 10 maggio 2015

Spaccheremo il culo ai passeri!

"Guardi... vogliamo fare una cosa che nessuno ha fatto fino adesso!
Un portale grande, ma grande davvero, mica le cagate che fanno in giro!
Prenderemo venditori in ogni regione che dovranno vendere gli spazi sul nostro portale. A tutti, alimentari, mobilifici, concessionarie, architetti, tutti... quando dico tutti, dico tutti!"

"Ma ci sono già portali di questo tipo che..."

"Nooo... Izzinosa, non ci siamo capiti! Qui non si tratta di un'esposizione, qui si fa sul serio! Qui noi facciamo in modo che in America vedono i prodotti fatti qui e li vengono a comprare sopra internet! E' chiaro?"

"Capito! Ma in America avete già contatti che..."

"OOOOhhh! Izzino' e ci dia il tempo! Cominciamo a piccoli passi, lei ci fa il sito, ma che sia un sito grosso, mica cazzate eh? [come se io abitualmente...] Qui dobbiamo spaccare il culo ai passeri! Ci dica quanto fa?"

A parte che i passeri prima di farsi spaccare qualcosa li devi prendere, e non è facile, la cosa più grottesca di questo colloquio (purtroppo tutto vero!), a dir poco allucinante, è che chi proponeva questa stupidaggine proveniva da tutt'altro settore, e definiva internet fino a pochi mesi prima "tutte cazzate!".

Tutto si può fare, non bastano i soldi (quelli contano ma devono essere investiti bene), ci vogliono tanti elementi: esperienza, competenza, contatti fra le parti che si vogliono mettere in gioco, obiettivi concreti, pianificazione, business plan e molto altro ancora. Invece proprio chi non conosce internet crede che sia un ambiente facile, dove arricchirsi richieda poco e sia una passeggiata. Non funziona così. Non funzionerà mai così. E' il pensiero dei furbi, o di coloro che si credono tali.
I risultati migliori si conseguono con molto impegno e arrivano dopo molto tempo.

Ah! Dimenticavo: sull'albero di fronte all'ufficio del protagonista di questo colloquio, i passeri stanno bene da generazioni. E ci hanno pure fatto il nido.

sabato 9 maggio 2015

L'inganno della qualità

- Il mio prodotto è fatto così bene che si vende da solo!
- Come vanno le vendite?
- Il solito schifo!
(dialogo realmente avvenuto)

Siamo così bravi a fare le cose che ci dimentichiamo di farlo sapere. Oppure lo trascuriamo, oppure lo facciamo improvvisando, oppure ci affidiamo alla buona sorte...
Succede spesso di incontrare imprenditori che puntano tutto sulla qualità, convinti che questa sia il trattore del successo.

Magari fosse!
Il fatto è che la parola "qualità" è usata e abusata. Oggi tutto è di qualità: dallo stuzzicadenti alla componentistica industriale. Tutto verniciato con questo concetto. Spesso è vero, talvolta no.

D'accordo, la qualità c'è (o almeno lo voglio sperare) nella maggior parte dei casi ma se poi non sappiamo far venire la curiosità nella gente di venircela a cercare a cosa serve?

Ci sono imprenditori che offrono prodotti di una qualità inferiore ma sanno venderla, sanno farcela trovare anche quando ce n'è poca. Sono bravi? Sono disonesti? Sono furbi? No! Sono attenti.
Semplicemente hanno capito che la qualità (salvo casi al limite della truffa) è in funzione delle aspettative dei clienti. Sanno che se sapranno solleticare la curiosità e l'attenzione dei potenziali clienti, venderanno meglio. Venderanno di più.

Per qualcuno questo è l'elogio alla disonestà. Per altri, e io fra loro, è il senso degli affari cioè l'efficacia del proprio lavoro in funzione dei propri clienti, e si resta sul mercato soltanto se si hanno clienti (non tutti ci pensano abbastanza).

Dunque quando c'è la qualità è doveroso saperla vendere, saperla esporre, saperla trasmettere poiché la qualità ha un costo, un costo perduto se la sua percezione è affidata all'oggetto.
Ma ha un costo proficuo se valorizzata e sapientemente venduta.

giovedì 7 maggio 2015

Il barocco in ufficio

E' vero, adoro Mozart, Haendel, Haydn, Benedetto Marcello, Pergolesi, Vivaldi: straordinari autori del Barocco. Ma sentirsi dare del "barocco" (non del "brocco", quando una vocale fa la differenza!) durante l'analisi di un lavoro significa una sola cosa: stiamo aggiungendo orpelli inutili a qualcosa che è efficace già di suo.

In cosa si manifesta il "barocchismo"? In quel tocco di inutile, lezioso, noioso, in quello svolazzo compiacente che nelle intenzioni di chi lo compie dovrebbe conferire maggior prestigio, attenzione e autorevolezza a quanto si sta facendo.

Esempi di barocchismi sono il Voi in luogo del voi (o Suo in luogo di suo), il Sempre a Vs. disposizione (che porta alla mente l'inchino con mano sinistra sul cuore, destra in alto che impugna il cappello piumato, piede sinistro avanti e destro poco arretrato), le ripetizioni inutili di quanto sia importante un concetto o la collaborazione, ma anche eccessi di colore, di decori, di parole, di ripetizioni ecc. ecc.

Serve a qualcosa? Sì, come uno spicchio d'aglio in una brioche alla marmellata!
Suona sincero come come una moneta di plastica, pesante come un'impepata di cozze a colazione.

Garbo, forma e cura dei contenuti sono essenziali per arrivare al nocciolo della questione che è e resta l'unico fine della nostra comunicazione. Punto.
Il resto è barocco.

martedì 5 maggio 2015

Le cinque regole per affrontare il problema (e farsi odiare)

Succede che ci si trovi alle prese con un problema, e che la soluzione sia lontana dal venirci in mente.
Come comportarsi in questi casi? In cinque punti vedremo come magari non si risolva la questione, ma ce ne si esca con la minor quantità di danni possibile.

1. Una soluzione per ogni problema
Se non ci fosse un problema a cosa servirebbe la soluzione? Forti di questa considerazione possiamo darci un tono: qualunque cosa diremo basterà farla passare come una visione della soluzione.

2. Il problema è altro
Quando la soluzione è distante e non se ne viene a capo, un modo elegante di aggirare il problema è inventarsene uno nuovo che sia collegabile a quello principale. Ingarbuglia la matassa è vero, ma se sappiamo giocarci bene le nostre carte ci farà apparire come pensatori acuti.

3. Il fattore tempo
Il tempo c'è? Bene! Allora procrastiniamo. Magari a qualcuno verrà un'idea.
Il tempo non c'è? Pazienza! Se tutto andrà bene avremo fatto bella figura dimostrando di saper lavorare bene sotto sforzo (a patto che nessuno ci prenda l'abitudine), se tutto andrà male potremo sempre dire che col tempo che avevamo a disposizione non ci si poteva aspettare di più.

4. Lavoro di squadra
Coinvolgiamo sempre qualcuno. Più siamo, più le colpe si possono suddividere. Alle persone piace sentirsi utili, perché non approfittarne?

5. Io ci avevo pensato
Se qualcuno trova la soluzione prima di noi, non abbandoniamoci alla frustrazione, sarà sufficiente affermare di averci già pensato ma di non aver avanzato la proposta perché non del tutto convinti ma in effetti il collega ha ragione. Bravo. In questo modo si passa per paraculi (cosa che in effetti è...) ma, complimentandosi con il collega, lo si pone nell'impossibilità di farcelo pesare.

Non sempre la strada migliore fra due punti è quella più breve, spesso arrampicarsi sugli specchi può essere un utile esercizio.

domenica 3 maggio 2015

Ufficio complicazioni affari semplici

Non vi è mai capitato di lavorare con qualcuno che trova sempre il modo di rendere difficile ciò che è facile?

A me mai.
Fortunato?!? No! Il fatto è che sono io quello che rende difficili le cose facili.

E' un'arte sapete? Si comincia dal considerare il problema nel suo complesso, poi lo si capovolge, lo si rigira, lo si rivede e ci si pone dalla parte della soluzione, quella sbagliata ovviamente.

Constatata l'inadeguatezza della soluzione ci si infila nei meandri del problema cercando tante soluzioni (sbagliate pure quelle) a ciascun suo aspetto. Quando finalmente la matassa è così ingarbugliata che non se ne viene fuori neanche con la motosega, si ricorre alla carta.

La carta! L'ultima spiaggia di chi ha le idee confuse. O meglio, se tutto fosse cominciato da lì poteva anche andare tutto bene, ma se la carta è l'ultima soluzione allora è la fine. Si tracciano linee, infografiche quanto meno discutibili e imprecise, di qua i pro e di là i contro... no ma questo è un contro, sì ma un contro che sta anche fra i pro... no... allora altro foglio, alto giro di carta... qui c'è il problema, qui siamo noi, qua la soluzione, quanto siamo distanti noi da lei? Un casino!

Si continua così fino a sette o nove fogli (mai fino a dieci, ai pasticcioni i numeri tondi non piacciono mai). Infine, al colmo della confusione (dopo aver passato tutti i dubbi esistenziali come: perché ho scelto questo lavoro, chi me lo ha fatto fare, ma io volevo fare il tranviere, e così via), si mette tutto nel cassetto (o si chiude la cartella). Si lascia riposare qualche ora o qualche giorno e poi si riaffronta (se proprio è necessario).

Prima o poi passerà qualcuno che, armato di un sorriso leggero e ricco di compassione, ci dirà: ok! Io farei così. E tac! E' fatta! Il problema è risolto, la faccenda è chiarita, la questione è esaurita.
E noi pure.

venerdì 1 maggio 2015

Vogliamoci male!

Lei compra quella roba lì? Ma allora si vuole proprio male!

Quante volte ci siamo sentiti dire una frase così da qualcuno che pensava di rendere interessante quello che vendeva svalutando quello che avevamo?

Vendere comporta rispetto per il cliente. Esordire disprezzando ciò che il cliente ha comprato, indossa o mostra, è un modo per farlo sentire cretino, incapace di scegliere bene e di sapere cosa sia meglio per lui.

Sono tante le ragioni per cui si fanno acquisti anche sbagliati: gusto personale, ricordi legati all'oggetto, non conoscenza di dettagli relativi a un prodotto o un servizio o conoscenza errata.
Tutti elementi che possono indurci in errore, ma che quando ci portano ad un acquisto ci sembrano giusti.

Di norma già accettiamo di malavoglia osservazioni sui nostri errori da persone care e stimate (è umano), figuriamoci da estranei a cui, in teoria, dovremmo pure dare i nostri soldi.

Quindi lei si vuole male!
Sì forse mi voglio male, ma me ne vuole di più chi non mi rispetta!

mercoledì 29 aprile 2015

Della gazzella e del leone (e di internet e dell'autore)

Si sa, ogni mattina in Africa una gazzella si sveglia (e questa è già una fortuna data la presenza di predatori, bracconieri, malattie, guerre, carestie, depressione e ipocondria) e sa, la gazzella, che dovrà correre più veloce del leone per tornare a dormire. Ma anche il leone si sveglia (e pure lui, sebbene abbia meno pensieri, deve ringraziare perché con la penuria di safari a causa della crisi, con le guerre, le malattie e tutto quanto già visto per la gazzella, in più qualche mal di denti e una leonessa col ciclo mica se la passa poi così bene) e sa, il leone, che dovrà correre più veloce della gazzella dato che si sveglia sempre con un certo languorino. La morale del proverbio dice che non importa se al mattino tu sei gazzella o leone, basta che corri.

Ora, questo proverbio ha creato un bel po' di problemi nella savana: le gazzelle sono diventate isteriche e stressate, le zebre si sono convinte che il problema non le riguardi, i leoni vorrebbero spazzolarsi anche un caribù ma per ottemperare al proverbio vanno in cerca della gazzella (lo fanno anche da noi certi personaggi di malaffare) e, trovandone sempre meno (non perché se le siano mangiate tutte, ma perché si sono svegliate prima), sono a dieta e ormai vedono gli altri animali come dei ripieghi.
Un po' come quando si va dal macellaio: "ce l'ha il sottofiletto? No? Ah! Vabbè mi dia una un fettina di spalla!". Ci si accontenta e, per restare in tema di proverbi, si dice che "chi si accontenta gode".

A parte il fatto che secondo me chi si accontenta non gode, almeno non gode sempre, ma poi mica puoi andare avanti a fettine di spalla? No. Bisogna essere decisi, determinati, tosti. Alzarsi e correre!

Dunque anche io ogni mattina mi alzo e corro. Dal letto alla scrivania. E ogni mattina mi devo inventare qualcosa, qualcosa che dica qualcosa a qualcuno in qualche modo. Chi è 'sto qualcuno? Cos'è quel qualcosa? Qual è il qualche modo? Non ho ancora bene le idee chiare, ma so che ogni giorno su internet devo spararne una più grossa del giorno prima per poi raccoglierle in questo libro. E non importa se sia su Twitter o su Facebook. Importa che cominci a scrivere.

martedì 28 aprile 2015

Noi siamo contro internet!

A noialtri non ce la raccontate mica!
Voi venite qui con le vostre robe informatiche e ci volete menare per il naso! [veramente era un'altra la parte anatomica citata, ma per rispetto dei minorenni...]
E internet di qua, e internet di là, internet di su e internet di giù!
Ma oh!

Ma anche noi... e che diamine! Vogliamo vendere le robe internet a tutti! A cani e porci! A somari e gazzelle!
I cani passi... loro sono fedeli e ti seguono, i porci qualche volta... se vedono l'affare... (ma che avete capito?)... i somari no. A quelli non si vende. Niente da fare, sono furbi loro, mica gliela racconti!
Loro sono contro internet! Anch'io certi giorni sono contro il vento, ma quello non ci sente! Si ostina a soffiare.

P.S: le gazzelle sono sempre di corsa, se la stanno ancora svignando davanti al leone...

venerdì 24 aprile 2015

Il Pentagono immaginario

"...ma a chi vuoi che interessi! Mica siamo il Pentagono qui?"

Questo mi diceva mentre prendeva il bicchiere di plastica colmo di té dal vassoio cui era appoggiato. Interessante sapere che il "vassoio" era quello del lettore cd del computer, che per il fatto di avere un buco grande al centro, consente di infilarvi "in tutta sicurezza" il bicchiere con la bevanda.
Dopo il sorso gustato con sofferente piacere mi guardò e con due occhi increduli mi chiese "...cosa c'è? Qualcosa non va?".

Il mio sguardo scivolò desolato sulla cornice del monitor tempestata di bigliettini adesivi con sopra appunti, avvisi, cose da fare e soprattutto un paio di password. "Tu questa cosa della sicurezza la prendi troppo sul serio... rilassati!". Con una calma apparente mi chiedeva di far finta che tutto fosse normale.

La mia osservazione che l'azienda aveva investito parecchio nella sicurezza proprio per evitare intrusioni, furti di dati, danneggiamenti e grane legali venne assorbita da un'alzata di spalle e un sorrisetto complice. C'è sempre un complice in un misfatto.

Il pensiero corse agli amministratori di sistema di quell'azienda, a quanto si preoccupassero di dotare l'impresa di dispositivi software e hardware in ottemperanza alle disposizioni di legge, a come luccicavano loro gli occhi quando alzavano la testa dalla tastiera per uno sguardo sfuggente ricco di orgoglio da cui traspariva un pensiero chiaro: "Vede Izzinosa? Siamo furbi noi, abbiamo pensato a tutto, siamo indistruttibili, i nostri dati sono in una fortezza!"

Una fortezza, sgretolabile a colpi di post-it.

giovedì 23 aprile 2015

La competizione

"Guardi Izzinosa, io queste cose di internet le faccio fare a mio figlio perché non ho la competizione necessaria". Il figlio: "papà la competizione non c'entra! Mica che tu devi fare il sito? Quello lo fa lui [io ndr...] tu devi fare che decidi cosa fare".
(Conversazione realmente avvenuta qualche anno fa).

Una delle cose contro cui è più difficile lottare è la convinzione che il sito internet sia un fatto tecnico. Per molte persone tutto ciò che viene fatto affrontando un ordigno digitale viene visto come qualcosa di squisitamente tecnico cui bisogna dedicare competenze specifiche.

Il sito internet è un fatto mediatico, non risponde alle regole tecniche (quelle servono per farlo esistere) ma alle regole del marketing e della comunicazione. Se le idee sono chiare, se si sa cosa si vuole, dove si intende arrivare, cosa si vuol dire, a chi ci si vuole rivolgere, bisogna dirlo a chi lo realizza e insieme, ciascuno per la sua parte, contribuire al successo dell'iniziativa.

L'imprenditore deve fare l'imprenditore, il webmaster deve fare il webmaster.
Rispettare l'altrui mestiere è fondamentale per costruire il successo dell'azienda.

mercoledì 22 aprile 2015

La predica

"Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi:..."
Davanti ad un leggio, intraprendendo un simile argomento, è normale (anzi doveroso) assumere un atteggiamento riflessivo, compunto, ricco di rispetto per quanto si sta leggendo e per la sensibilità di chi sta ascoltando. Calma e lentezza devono aiutare a far penetrare le parole nei cuori dell'uditorio.
Dunque se siamo in chiesa questo atteggiamento è quello giusto.

Ma se stiamo parlando ad una platea di imprenditori, di potenziali partner d'affari, di rappresentanti delle istituzioni no. Dobbiamo motivare, entusiasmare, stimolare fantasia e interesse per quello che facciamo e per come potrebbe essere bello lavorare con noi e come noi.
Ci vogliono ritmo, scelta di argomenti che coinvolgano la platea, domande retoriche, un po' di sana ironia, coraggio, perché avere tanti occhi puntati addosso e tante orecchie in attesa di qualcosa di interessante, di "appetitoso" da sentire mette addosso ansia e può arrivare a bloccare o paralizzare l'oratore.

Come se ne esce? Anzitutto avendo una traccia prima scritta e poi mentale; si stabiliscono quali sono i punti cardine che si vogliono esporre, li si traccia su carta, si mandano a memoria e poi si prova, si fa finta di essere davanti alla platea che si affronterà, magari con uno specchio davanti che ci dia l'idea di ciò che vedranno coloro che ascolteranno: se ci piace quello che vedremo, piacerà anche a loro, magari non a tutti ma non importa.

Leggere pedestremente un discorso annoia, specie se si usa un volume basso, un ritmo lento e pedante (e se non si è riletto più volte il testo). Tutto assume il tono di una predica, di qualcosa che nessuno vuole sentire, se non in chiesa appunto, dove però si sceglie di andare per motivi spirituali e non certo imprenditoriali.

domenica 19 aprile 2015

Quante storie!

Normative, regolamenti, procedure, disposizioni, certificazioni e molto altro ancora... viene da chiedersi se l'imprenditore riesca a trovare il tempo di concentrarsi sul business, che poi è il vero obiettivo e la ragion d'essere del suo operato.
E con la comunicazione e il quadro è perfetto!

Come uscirne?
Un libro può aiutare l'imprenditore a sbrogliare la matassa?

Mi piacerebbe rispondere di sì (anche perché il libro l'ho scritto io!).
In effetti, come in tutte le cose, la verità sta nel mezzo e il buon senso suggerisce una risposta più diplomatica: dipende!

Dipende anzitutto dalla percezione che l'imprenditore ha di aver sempre qualcosa di nuovo da scoprire, da quanto è curioso, da com'è abituato a porsi di fronte ai problemi, ma dipende anche da chi scrive idee, spunti, e suggerimenti, come li espone e come li propone.

Scrivere un libro per chi ha sempre i minuti contati è difficile, ma non impossibile.
Penso che un testo che si ponga l'obiettivo di aiutare le persone debba essere scritto partendo dalla facilità di fruizione del suo contenuto, ecco perché il libro è strutturato in una parte espositiva sintetica e tutto il resto è costituito da aforismi e massime che hanno il compito di focalizzare l'attenzione sui concetti senza dover seguire un filo conduttore ma approcciando ai temi secondo un proprio schema, anzi, senza farsene necessariamente uno.

Ogni aforisma è una storia, ogni storia un frammento di vita lavorativa, ogni frammento un'idea da assimilare con calma e con pazienza. Un libro che si può anche dimenticare su uno scaffale e riprendere dopo qualche tempo senza che ci si sia persi nessun filo conduttore, perché è lì come un buon amico paziente che ci accompagna sempre quando e se vogliamo essere accompagnati.