mercoledì 17 maggio 2017

Mai segare il ramo su cui si è seduti

La peggior scelta che un'impresa possa effettuare è quella di demotivare la sua forza vendita.
Si tratta di un suicidio, è un comportamento irrazionale, sprovveduto e preludio di una rovina che presto o tardi arriverà.

Dai venditori, le imprese traggono informazioni sui mercati, sulla concorrenza, sulle richieste, sugli orientamenti e sulle tendenze. Spesso i migliori venditori non si limitano a vendere e a fatturare ma propongono idee, varianti, modifiche, innovazioni, servizi e prodotti nuovi, mercati fino ad allora non toccati, modalità, procedure e soluzioni efficaci.
Non ascoltarli, marginalizzarli, mortificarli, svalutarli significa sprecare un patrimonio di competenza ed esperienza impareggiabile, significa segare il ramo su cui è in equilibrio l'azienda (poiché "seduta" è una parola che mal si adatta alle caratteristiche di un'impresa).

A volte le istanze che provengono da chi è sul campo si scontrano con la realtà produttiva che non è in grado di assecondare o di approfittare degli scenari illustrati, ma questo va spiegato con trasparenza e onestà: "...non possiamo fare quello che ci proponi poiché dovremmo ridisegnare la nostra linea produttiva implementando macchinari che non potremmo saturare. Però grazie della proposta, ne terremo conto quando potremo affrontare questa linea di produzione".
E' un esempio, ma ben riflette come ci sia modo e modo di dire no.

Valorizzare e incoraggiare i venditori a portare contributi costruttivi in azienda significa essere flessibili, dinamici, attenti e soprattutto circondarsi di collaboratori che hanno a cuore l'impresa e non la vedono solo come fonte di guadagno.

Il successo non è mai frutto di un padrone che decide e comanda, ma di un insieme (che va tanto di moda chiamare "squadra") di persone che si impegnano per conseguire ottimi risultati e soddisfazioni personali, persone che sono entusiaste di lavorare per l'impresa, e quando si è entusiasti del proprio lavoro ci si diverte, e dato che si viene pagati per divertirsi, si può essere felici.

Il vero imprenditore non è colui che impone, è colui che ascolta.

martedì 13 dicembre 2016

Facile essere convenienti con i soldi degli altri

Il caso del giovane studente di Torino che rivendeva le merendine a prezzi più bassi delle macchinette installate presso il suo istituto e premiato dalla Fondazione Einaudi per il suo spirito imprenditoriale apre a qualche riflessione:

  1. è vero che il prezzo delle merendine erogate dalle macchinette dell'istituto che lui comprava in offerta nei supermercati era più alto rispetto al suo, e che tali prezzi, a suo dire in un'intervista radiofonica, erano più alti di quelli degli ospedali, ma qui si pone una questione che il ragazzino non considera: in quel "di più" del prezzo della merendina scolastica ci sono gli stipendi di chi le trasporta e le carica, della segretaria (ipotizzando una piccola impresa), gli ammortamenti, gli affitti, le bollette, le tasse, le concessioni, gli oneri e le spese per garantire i livelli di igiene imposti (giustamente) dalle autorità competenti;
  2. il ragazzotto comprava le merendine in offerta nelle varie catene di supermercati dove le imprese e la Grande Distribuzione fanno accordi al limite (e talvolta oltre) il dumping e per periodi brevi e ben definiti, mentre le imprese che distribuiscono le merendine nelle macchinette avranno pure dei prezzi vantaggiosi ma devono applicare i costi di cui sopra
  3. probabilmente (non ne ho certezza) le tariffe negli ospedali sono più basse di quelle della scuola perché ci saranno accordi con le ASL, e comunque il consumo di quelle merendine è più assimilabile ad un genere di conforto che ad uno sfizio di chi deve far passare un intervallo scolastico (chiunque abbia passato la notte o una giornata, o anche solo mezza con un parente in terapia sa cosa significa)
  4. il ragazzotto apostrofa su "La Stampa" gli studenti dell'istituto che hanno protestato contro il premio, che la Fondazione Einaudi gli ha elargito per il suo spirito imprenditoriale, con la parola "handicappati" mancando di rispetto sia a chi è disabile, usando la definizione come dispregiativo, sia ai suoi compagni (fra i quali è probabile che ci siano anche alcuni suoi -ormai- ex clienti).
Infine due parole sulla Fondazione Einaudi che avrà sicuramente dei meriti ma che, almeno in questo caso ha preso una cantonata solenne premiando non lo spirito imprenditoriale ma la concorrenza sleale e che ci si aspetterebbe adottasse misure più serie e ponderate verso chi realmente produce e distribuisce ricchezza.

Fare impresa significa assumersi responsabilità, onori e oneri che sono ben altra cosa che praticare un prezzo concorrenziale senza sopportare quei balzelli che scoraggiano, vessano e appesantiscono persone che hanno uno spirito imprenditoriale ben più alto di questo ragazzetto a cui nessuno, forse ha insegnato ad farsi carico delle proprie responsabilità.

Fare il giochetto del ragazzino di Torino sulle merendine, equivale ad essere convenienti sui soldi e sulla pelle di chi le regole le deve rispettare fino in fondo e deve portare il pane (non le merendine o la paghetta) a casa tutti i giorni.

venerdì 1 luglio 2016

Sono un consulente: so come sapere

Cosa definisce un buon consulente? Quali elementi aiutano a scegliere quello giusto? Quali caratteristiche deve possedere e cosa dobbiamo aspettarci da lui quando lo ingaggiamo?

Faccio da tanti anni questo lavoro in diversi campi: web marketing, privacy e comunicazione ed oltre ad aver interagito con diversi consulenti come cliente o come consulente in prima persona ho accumulato delle piccole esperienze che oggi intendo sintetizzare in cinque punti che, a prima vista, potrebbero sembrare ovvie ma che, alla resa dei conti, ci dimentichiamo sovente.

  1. Equilibrista: un buon consulente è pagato per fare quello che serve al cliente, non quello che piace a costui. Spesso il committente non ha le idee chiare, o meglio "crede" di averle (il che è peggio) ma sono inesatte, incomplete o fuorvianti, cioè poco inerenti al tema o mal o poco centrate. Il compito del consulente non è quello di svalutare le convinzioni del cliente ma di "avvicinarle" se e quando possibile alla vera essenza del servizio. Quanto più ci riuscirà, tanto più sarà gradito al committente e avrà maggiori possibilità di rinnovare la prestazione.
  2. Competente: appare logico, altrimenti che consulente sarebbe? Ma la competenza in realtà è un concetto troppo ampio per essere liquidato da una parola. Qualunque attività necessiti di consulenza, comporta una complessità intrinseca (altrimenti non servirebbe un consulente), ma questo significa che la specializzazione riguarda alcune aree spcifiche ma non tutta la materia. Un consulente che operi a trecentosessanta gradi difficilmente sarà pienamente competente in ciascun comparto del suo settore, quindi il buon consulente è uno specialista in alcuni campi e competente in altri nei quali, a richiesta, può condurre approfondimenti.
  3. Onesto: se Socrate diceva "so di non sapere", un buon consulente dice "so come sapere". Non è un gioco di parole, è un atto di onestà che eleva chi lo esprime: io sono un consulente privacy, ho curato gli interessi di diversi clienti operanti in molti settori, ma mai in campo assicurativo (ad esempio). Mi tiro indietro? No, lo dico al cliente ma allo stesso tempo mi premurò di garantirgli che entro un certo periodo, il più breve possibile, sarò in condizioni di seguirlo al meglio. E lo posso fare perché so cosa studiare, dove cercare le risorse necessarie,  come interpretare le nuove informazioni che scopro e come adeguarle alla situazione specifica sapendo cosa lasciare fuori e cosa integrare. Per il cliente è una garanzia, poiché saprà di non avere a che fare con un "tuttologo" ma con un professionista leale, corretto, che ha le idee chiare e che non si approfitterà mai di lui.
  4. Attento: un bravo consulente è colui che sa ascoltare, che possiede empatia e capacità di collocare il proprio ruolo all'interno dell'azienda nell'interesse suo e di questa, preoccupandosi sempre di tutelare gli interessi del cliente in equilibrio col lavoro di colleghi con cui deve interagire. Si pensi al caso di due consulenti che operano per la stessa azienda di cui uno cura la preparazione alla certificazione ISO 9001 e l'altro la privacy, e che devono quindi integrare le proprie competenze per consentire il conseguimento della certificazione al cliente, ebbene dovranno sapersi parlare e rispettare i relativi ambiti, per non pregiudicare il cliente e quindi la propria sopravvivenza.
  5. Adeguato: ogni cliente ha delle caratteristiche e delle possibilità. Lo stesso lavoro condotto per due imprese diverse ha costi differenti poiché entrano in gioco responsabilità che variano a seconda delle specifiche delle due imprese. Molto difficilmente lo stesso lavoro è efficace per più imprese, ciascuna ha caratteristiche proprie e anche nel formulare la parcella bisogna tenerne conto in quanto ciascuna ditta ha esigenze che portano via più tempo, ha diversi tempi di rientro dall'investimento e obiettivi analoghi ma sempre differenti
Alla fine si tratta di sano e virtuoso uso del buon senso, si tratta di rispettare il proprio lavoro e sé stessi. Alla fine si tratta di dare stabilità al proprio futuro attraverso buone pratiche.

mercoledì 22 giugno 2016

Tempi acerbi

Chi ha i capelli bianchi e magari piuttosto radi come me, e qualche ruga sulla pelle sicuramente ricorderà l'Olivetti Quaderno, il primo vero netbook che sia stato messo in circolazione e che anticipò i moderni dispositivi che ben conosciamo. Risale al 1992, più o meno nello stesso periodo in cui nacque Simon il primo smartphone progettato da IBM e commercializzato dalla BellSouth.

Entrambe queste macchine non ebbero la fortuna che meritavano (sebbene a modo loro, per l'epoca destarono un certo interesse) e perché si giungesse alle attuali devices che ne hanno sviluppato il concetto ci sono voluti due decenni.

Anche se ben concepite queste due novità erano in anticipo (troppo) sui tempi: i sistemi operativi non erano adeguati e pensati per "girare" in maniera ottimale su queste macchine, anche se Windows 3.1 era ben performante sui computer portatili dell'epoca.

C'erano fior di uffici marketing dietro questi prodotti ma non riuscirono a imporre ai mercati questi percorsi tecnologici come ha poi fatto, una decina di anni più tardi, Steve Jobs con l'iPhone o l'Asus EEpc.

Queste due esperienze insegnano che tenere le "antenne dritte" e saper fiutare i mercati è decisivo per collocare quello che si sta facendo. Proporre novità e idee rivoluzionarie comporta un'ottima preparazione e studio dei mercati e non è detto che, malgrado le attenzioni e le competenze messe in campo, si conseguano risultati soddisfacenti. Essere troppo avanti può produrre danni (essere innovativi è cosa buona e giusta, esserlo "troppo" no)

A livello di piccola impresa, l'attenzione ai mercati significa tenere sempre d'occhio le richieste dei clienti, cercare di capire come usano i prodotti che gli vendiamo, osservare cosa fa la concorrenza, analizzare la pubblicità che si rivolge ai nostri clienti: quali valori promuovono, a cosa danno priorità, giocano sulla novità o sul prezzo, che messaggi fanno passare...

Ogni mercato ha le sue caratteristiche ma i clienti sono sempre persone che hanno bisogni differenti e riconducibili a comportamenti generali che possono essere la fortuna o la sfortuna di un progetto.
Talvolta, per il bene dell'azienda, una buona idea è meglio che resti nel cassetto in attesa di tempi maturi, perché quelli acerbi ne decretano la morte prematura.

martedì 7 giugno 2016

Eccessivo intimo

Sugli slip (i miei) leggo Pinco Pallo Pinco Pallo Pinco Pallo (sì forse ce ne sono di più: non ho proprio un girovita da modello) e penso che quest'uomo (tal Pinco, detto Pallo - il nome è di fantasia per non fare pubblicità gratuita) debba essere un ottimista. E in fondo è un po' vero se i soldi li ha fatti (la qualità non si discute). Però quella scritta ("firma" è un po' troppo) è, a mio avviso, un tantino eccessiva.
Se quella ripetizione ossessiva serve a chi le indossa (a me) credo che sia inutile, se le porto (comprate o ricevute in regalo) so che sono fatte dalle sue fabbriche a meno che lui non creda che io sia "di memoria debole". Se serve ad esser letta da chi condivide la mia intimità è ottimista, perché si presume che io abbia di queste occasioni (cosa che purtroppo non è) e poi, diciamocelo, in quei momenti durano poco addosso, almeno per gli uomini (per le donne magari...). Se poi serve a richiamare l'attenzione sul suo marchio è del tutto superfluo: non vado certo a comprare un profumo solo perché porto le mutande firmate col nome di chi produce le une e l'altro.
Qual è allora il significato di quella ripetizione continua? Probabilmente, a seguito della moda dilagante dei pantaloni abbassati, quello che resta in evidenza anche da lontano è la griffe degli slip.
Insomma, un oggetto intimo non è più tale perché l'intimità è quella virtù che si perde nel momento in cui si manifesta.
Dunque divento da consumatore a "veicolo" del marchio (brand, per essere raffinati), perdo il mio status di "terminale", di "obiettivo" per assumere quello di "strumento", di "testimonial". Non più io, ma ciò che indosso.
Tengo su i pantaloni. E ben allacciati.

martedì 24 maggio 2016

Nascondiamo il sito!

"Il dominio in basso, perché nessun lo veda!"
Sembra questo l'ordine impartito a cui tutti si sottomettono quando si tratta di decorare il furgone aziendale.

Fateci caso quando siete nel traffico: su 10 furgoni che incrociate, quanti riportano il dominio del sito internet in alto scritto in caratteri grandi che siano visibili anche a tre o quattro vetture di distanza?
Quasi tutti hanno la scritta in basso, e si può capire per le vetture immediatamente vicine al furgone, ma perché non ripeterlo in alto su tutte e tre (o quattro, quando possibile) le facciate? In questo modo il dominio si vedrebbe da lontano, anche agli incroci in attesa del verde si leggerebbe chiaramente per tutta la lunghezza del veicolo.
Invece, chissà perché, si preferisce scriverlo soltanto in basso, a caratteri piccoli e leggibile solo da chi è in prossimità dell'automezzo.

E' un atteggiamento miope che è duro a morire, quello di ritenere il sito internet un fatto secondario, privo di importanza rispetto al marchio. Non si comprende invece che il sito comunica l'impresa (individuale o multinazionale che sia), è anzitutto il biglietto da visita della ditta, e che più esso è visitato e visibile, maggiori sono le possibilità di incremento del fatturato.

L'ideale, dato il minimo tempo di esposizione nel traffico, sarebbe l'alternanza cromatica per facilitarne la memorizzazione (es. www.nomeditta.it dove "www." e ".it" sono in nero, "nome" in verde o blu e "ditta" in rosso) meglio ancora se il dominio fosse l'unione di parole chiave del settore di appartenenza (ma questo è un tema ben più complesso che riguarda il SEO e non ha  nulla a che vedere col tema di questo post).

Comunicare non è solo una questione di campagne, posizionamenti, pubblicità, pubbliche relazioni, ma anche di minimalia come questa: fare in modo che chiunque, a qualunque distanza, nel traffico possa ricordarsi del dominio del sito anche se è distante tre o quatto vetture dietro il nostro furgone.
Magari il cliente potrebbe essere fermo in coda a qualche  vettura di distanza in tangenziale, e magari potrebbe annotarsi il dominio o fotografare il furgone che, anche se lontano, ha la scritta ben visibile, per poi visitare con comodo a casa il sito.

Piccole cose ma che possono dare grandi risultati.

martedì 17 maggio 2016

La saggezza e gli affari

"Lo stolto è colui che non sa uscire dai guai in cui si caccia, l'astuto è colui che sa come uscire dai guai in cui si caccia, il saggio non si caccia mai nei guai."
Questo proverbio orientale dice molte cose sull'essenza umana, sulle sue debolezze e virtù. Nel commercio dunque l'imprenditore deve essere astuto o saggio? Stolto no di certo poiché chiude ancor prima che apra e se lo fa dura poco o comunque finché conviene a qualcuno.
Dunque astuto sì. Quali sono i comportamenti astuti per un imprenditore?

  1. Attenzione alla concorrenza. Osservarla per carpirne i segreti del successo, i pregi, i limiti le debolezze e le cose che funzionano.
  2. Informazioni sui clienti. Prima di stipulare un contratto, fare ricerche ad ogni livello, dalle visure camerali alle informazioni sul web, il suo sito, come si presenta, cosa dice, cosa fa e come lo fa. Se nasconde informazioni sulla ditta, chiedersi perché, i profili aziendali e personali sui social media.
  3. Informazioni su sé stesso. Cosa si dice di lui? Della sua ditta? Provando ad accompagnare il suo nome, e quello dell'azienda, in una ricerca sui principali motori ad epiteti, ingiurie, ma anche complimenti e riconoscimenti, cosa troverebbe? In altre parole, sapere se e cosa si dice di quello che fa lui e la sua impresa, come parlano di lui le persone.
  4. Informazioni sul mercato. Chi fa cosa e dove? Come usano i clienti ciò che lui produce o commercializza? Cosa influisce sulle sue prospettive? Verso cosa orientarsi per diversificare?
  5. Abile gestione delle risorse umane. Conoscenza delle persone che lavorano per lui, capacità di motivarle, abilità nel prendere decisioni, creare gruppo in cui tutti si sentano parte e abbiano piacere di comunicarlo all'esterno.
  6. Attenzione alla gestione finanziaria. Conoscenza delle convenienze in ambito fiscale, capacità di delega nello scegliere i contabili e i fiscalisti, adottare sane politiche commerciali o affidarle a persone di comprovata capacità.
  7. Pubbliche relazioni. Frequentazioni degli eventi importanti senza dispersioni in manifestazioni marginali per il proprio business, sapersi relazionare con tutti e inserirsi nelle associazioni che hanno il giusto peso per la qualità delle persone e la coerenza del business.
A ben guardare, si direbbe che sono più regole di buon senso che di astuzia.
Ma in realtà la vera astuzia è avere buon senso.

E il saggio? 
No, lui non si caccia mai nei guai. Non è un imprenditore. :)