martedì 30 giugno 2015

Le 5 regole del successo in fiera!

Per anni ho cercato i miei clienti nelle fiere, sia fiere locali che grandi manifestazioni. Frequentandole per scopi professionali ho osservato attentamente i comportamenti sia virtuosi che dannosi. Dato che si avvicina il periodo delle fiere che va da fine estate ai primi di dicembre, ho pensato di sintetizzare cinque comportamenti utili da tenere prima, durante e dopo l'evento cui si partecipa. Spero siano utili a portare a casa qualche risultato in più.


  1. I risultati migliori si conseguono nelle fiere che si sono già visitate.
    Partecipare ad una fiera che non si conosce è un rischio, ogni evento grande o piccolo che sia ha le sue peculiarità, il suo pubblico, i suoi limiti e i suoi pregi. La partecipazione in fiera comincia dall'edizione precedente, la si gira e rigira, si osservano le postazioni migliori, si osserva il pubblico che la frequenta, si verificano gli orari, la comodità/scomodità logistica. Soprattutto si parla con le persone, sia con i visitatori che con gli espositori. Alle persone piace scambiare quattro chiacchiere (magari davanti a un caffè), esprimere il proprio parere, il proprio punto di vista, essere d'aiuto. Dunque, con la dovuta discrezione e la massima attenzione, la visita preliminare all'edizione precedente quella che si vuole condividere è strategica.
  2. Esercizio fisico.
    La fiera è un evento faticoso, i più avvezzi sanno bene che nel primo giorno la resa è massima, nel secondo è media, dal terzo la fatica incalza progressivamente abbattendo pesantemente il rendimento. E' un fatto normale, fisiologico, inevitabile. Ma se non si può impedire, ci si può preparare. Dunque per almeno tre mesi prima (dipende ovviamente dal fisico e dalle condizioni di salute in generale) sarà opportuno camminare a passo sostenuto tanto, anzi parecchio percorrendo tratte sempre più lunghe. Non è necessario correre, ma abituare progressivamente il fisico ad affrontare situazioni di stress che per una settimana saranno pesanti.
  3. Mai farsi gli affari propri.
    Detta così sembra un invito a molestare i visitatori. Invece no. Il cliente è la fonte del nostro reddito. Accoglierlo, si fa per dire, intenti a scambiarsi sms, a leggere il giornale o a trafficare al computer (o tablet) non è un buon biglietto da visita. Anche il più interessato dei visitatori, colui che ci interrompe dagli affari nostri per chiederci informazioni, lo farà solo se il suo livello di interesse sarà davvero forte e comunque, anche se non se ne renderà conto, sarà infastidito o quanto meno imbarazzato. Se siamo in fiera ci siamo per fare affari, quelli veri, non gli affari nostri nell'indifferenza dei visitatori. Anche se la fiera è deludente bisogna stare all'erta: il buon affare può arrivare quando meno ce l'aspettiamo. Meglio essere preparati.
  4. Si chiude quando la fiera finisce, non prima.
    E' una brutta abitudine quella di iniziare a "sbaraccare" prima che l'evento sia terminato. Impoverisce la manifestazione, e infastidisce i visitatori che magari non sono potuti arrivare prima o sono stati intrattenuti da qualche manifestazione collaterale (non a caso in certe manifestazioni di un certo livello vi sono pesanti sanzioni per chi "sbaracca" prima). E' pur vero che quando i visitatori diventano radi il pensiero corre a casa, al piacere di stendersi nel letto o sul divano, ma la fiera ha un suo perché, una sua struttura temporale che va rispettata fino alla fine. Il visitatore dell'ultimo momento non sempre è un rompiscatole, talvolta è qualcuno che può dare un senso a tutta la partecipazione alla fiera. Avere pazienza di aspettare fino alla fine è un gesto che, magari inconsciamente, viene apprezzato e può dare degli ottimi frutti inaspettati. I visitatori del "tardi" infatti spesso sono coloro che vogliono concentrarsi sui prodotti e non essere infastiditi dalla folla. Sono i clienti potenziali migliori.
  5. Il dopo-fiera.
    "Alla fine della fiera" è un vecchio detto che sintetizza quello che resta di un lavoro svolto o di una situazione apparentemente complessa. Ebbene è una metafora reale ed efficace. E' il momento in cui si devono tirare le somme, ma attenzione: non tutte. Si valuta quanto si è venduto, si calcola a spanne quanti visitatori hanno interagito con lo stand, quanti contatti si sono raccolti. Il resto delle somme, non meno importante, è quello di ricontattare i visitatori interessati e farlo nella prima settimana, massimo dieci giorni. I buoni contatti sono come dei frutti, se si lasciano sulla pianta marciscono.
Le fiere sono la cerniera, il punto d'incontro, il contatto fra l'impresa e i mercati cui si rivolge, anche se l'impresa è piccola, la fiera è locale, i mercati sono volatili non importa. Quando l'impresa contatta fisicamente i mercati, sopratutto quelli potenziali, o ci va per fare affari o è preferibile che rimanga a casa.
Oppure visiti una fiera. :)


sabato 27 giugno 2015

Il bel lavoro brutto

"Fare il detective non è piacevole, per questo si chiama lavoro."
Questa idiozia la ripete ossessivamente uno spot di un noto serial televisivo poliziesco.
Chiunque l'abbia inventata o è cretino o è superficiale, certo non è una persona equilibrata o serena.

Il fatto che il lavoro debba essere spiacevole, sgradevole, pesante, faticoso è un retaggio medievale, retrivo, lontano da ogni considerazione e rispetto dell'essere umano.
Chiariamo un punto, non sono cieco da non sapere che ci sono lavori duri, pesanti e sgradevoli, ma lo sono anzitutto perché non piacciono a chi li fa e poi perché spesso sono malpagati, sottovalutati o gestiti male.

Ma anche pulire i bagni è un lavoro che può piacere, ci sono persone che percepiscono la loro prestazione, e spesso la loro vita, come servizio alla comunità. È anzitutto per questo che il lavoro comporta dignità. Poi conta come lo si esercita. Se lo si usa per danneggiare il prossimo a proprio o altrui vantaggio, se lo si imposta nella maniera sbagliata, se lo si priva degli strumenti idonei a renderlo più leggero e piacevole chiaramente è tutt'altro che piacevole.

Varcare la soglia del luogo di lavoro per esercitarlo, se fatto con piacere ed entusiasmo, perché si crede in quello che si fa, si ha fiducia in sé stessi e si pensa non solo a sé stessi, è la base del miglior successo per le imprese in cui questo avviene. I primi venditori dell'azienda sono i dipendenti che ne parlano bene.

Diffondere il principio secondo cui lavorare non è piacevole altrimenti non è lavorare è un modo di diseducare le persone alla felicità. È un atto indegno, è spargere malessere e malanimo. Io quello sceneggiato non lo guardo più.

Confucio diceva "Scegli un lavoro che ami e non dovrai mai lavorare un giorno nella tua vita”.

Quando facciamo un lavoro che ci piace, ci divertiamo, e se ci pagano per divertirci siamo prossimi alla felicità.
È faticoso? Sì! Ma lo è anche fare l'amore. Qualcuno potrebbe affermare seriamente che fare l'amore non è piacevole?

venerdì 26 giugno 2015

L'impresa fra Eros e Thanatos

Difficile, complicata, articolata, complessa... tutti aggettivi che ben delineano l'impresa anche quando è individuale, anche quando è una piccola attività artigiana. L'impresa vive, l'impresa si relaziona, l'impresa si comunica, l'impresa contribuisce con la sua esistenza a costruire il tessuto economico del Paese.

Quando visito le imprese per le mie consulenze sulla privacy, sul web marketing o sulla sicurezza, incontro persone, idee, entusiasmi, progetti, speranze, obiettivi. Ma incontro anche preoccupazione, amarezza, impreparazione, supponenza.
Il mio ruolo è quello di trasformare il Thanatos in Eros, lo spirito distruttivo in spirito costruttivo, la rinuncia in azione, l'aggressività in assertività.

Sono uno psicologo? No. Sono un imprenditore anche io, socio di una srl che fa consulenza alle imprese. Conosco anch'io le gioie e i dolori, le amarezze e le speranze dei clienti, ecco perché devo spingere l'imprenditore verso atti costruttivi.

Per questo ho scritto questo libro, per concentrare in poche parole concetti utili a riflettere, a rivedere e magari capovolgere i punti di vista, ad affrontare il lavoro da un'angolazione diversa. Non necessariamente la migliore in assoluto, ma la migliore per l'imprenditore.

Le imprese sono fatte di persone e solo le persone possono aiutarle a crescere.

martedì 16 giugno 2015

La privacy: se la conosci la ami!

Sovente nelle imprese la privacy viene vissuta come un incubo.
Adempimenti, carta, firme, documenti che girano e la sottile incertezza di non essere mai in regola.

Anzitutto partiamo dal presupposto che è bene che ad occuparsi di privacy in azienda sia un esperto. Un buon avvocato, bravissimo nel suo settore, non è detto che sia esperto di privacy.
Ho conosciuto aziende che vantavano il supporto di ottimi penalisti pur avendo delle carenze macroscopiche in fatto di privacy, non perché i professionisti non fossero capaci ma perché le loro specializzazioni erano altre, ma il rischio di sanzioni ricadeva sui titolari delle ditte.

Il fatto è che su questo tema si fa un po' di confusione. La privacy, nell'immaginario collettivo, è il principio secondo cui ciascuno si può fare i fatti propri senza che nessuno ci metta il naso se non per validi e gravi motivi. Un concetto molto anglosassone questo. In realtà la privacy in Italia, e in Europa, è la tutela e protezione dei dati personali, ben altra cosa dunque.

Il concetto di privacy, secondo la normativa nostrana è: i miei dati possono essere trattati 1) con il mio consenso, 2) sapendo chi li tratta, 3) sapendo come li tratta, 4) sapendo a chi vengono comunicati e perché, e se sì con il mio consenso, 5) cosa succede se non do il consenso, 6) a chi mi devo rivolgere per esercitare i miei diritti.
Questi principi sono ben diversi dal semplice "farmi gli affari miei senza che nessuno lo venga a sapere".

Ovviamente un quadro così delicato comporta che vi siano degli obblighi da parte delle imprese a tutelare questo diritto, poiché la privacy è un diritto. Sono questi accorgimenti che consentono alle persone di essere libere e tutelate; anche le imprese sono fatte di persone, persone che hanno il diritto che i loro dati, comunque trattati, siano soggetti a tutela. Nei fatti la privacy è il completamento del dettato costituzionale sulle libertà individuali.

Per questo, con la dovuta attenzione e senza grandi complicazioni, la privacy in azienda deve essere una priorità nei rapporti interni e nella gestione della clientela.

domenica 14 giugno 2015

Vendere è come radersi: Aforismi di aprile e maggio 2015

Vendere è come radersi: Aforismi di aprile e maggio 2015: Pillole Aprile - Maggio 2015.

Il libro continua sul blog!

Aforismi di aprile e maggio 2015

Pillole Aprile - Maggio 2015


Sentire e ascoltare sono due cose diverse, nelle trattative questa differenza è fondamentale.

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Gli affari sono fatti di relazioni, le relazioni sono fatte di intrecci di interessi che sono, bene o male, il motore degli affari

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Quante occasioni perdiamo per il timore di ammettere che forse ci eravamo sbagliati?

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Ogni idea ha una sua fattibilità. La differenza non è nella sua genialità ma nel quanto siamo disposti a spenderci per realizzarla.

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Il lunedì a volte è pesante, ma lo è anche per i colleghi. È dannoso scaricare sugli altri il malumore: torna indietro aumentato

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La chiarezza espositiva parte dall'attenta analisi degli interlocutori.

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Il clima aziendale non si impone lo si costruisce.

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Allontanare i clienti è più facile di quanto si pensi, basta trascurare la comunicazione.

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Ogni cambiamento è il frutto di un'evoluzione.

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Attenzione ai segnali dei dipendenti, quelli deboli permettono soluzioni efficaci, quelli forti essendo stati trascurati no.

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Avere chiari tutti gli aspetti del problema comporta la lucidità di riconoscerli. Della stessa lucidità si nutre la soluzione.

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Non si realizzano prodotti o servizi ma soluzioni.

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C'è chi sceglie, c'è chi guarda scegliere, c'è chi si fa scegliere. Qualunque sia la strategia, un'impresa deve sempre averne una.

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L'autoironia è la salvezza dell'imprenditore. L'autostima è il futuro di quello che fa.

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Cercare clienti e pianificare una strategia per trovarli è il primo passo di ogni attività imprenditoriale. Improvvisare danneggia.

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I clienti si perdono per i nostri errori che riconosciamo, ma soprattutto per quelli che non sappiamo di aver commesso.

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I genitori del successo sono il buon senso e l'esperienza. I cugini sono la fortuna e la competenza. Il nonno è il cuore.

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Tutto passa da internet e tutti ne usufruiscono, anche chi non lo usa direttamente. Allora è bene conoscerlo ed è stupido temerlo.

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Il lavoro di gruppo premia, crea entusiasmo, avvicina le soluzioni. Come nei concerti con più rockstar insieme sul palco.

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Parlare è importante, osservare è fondamentale, ascoltare è vitale.

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Organizzare comporta conoscenza delle persone e delle cose. L'imprenditore che sa cosa chiedere ai suoi collaboratori ha futuro.

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Un ambiente di lavoro è efficiente quando non pesa varcarne la soglia. L'efficienza si nutre di entusiasmo e partecipazione.

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Gli affari richiedono cautela, se si ha l'abitudine di mangiarsi le unghie, meglio non grattarsi le palle quando si è in ozio. ;)

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Ciò che resta è come lo diciamo non quello che diciamo

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Agire comporta pensare, pensare comporta ragionare, ragionare comporta progettare, progettare comporta agire.

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Saper delegare è decisivo per ottenere i risultati migliori. Lo faceva anche Alì Babà

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La qualità è una parte del mix del successo. Quando non la si sa comunicare è insufficiente. Quando è millantata è dannosa.

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Spesso la differenza non la fa la qualità (come dovrebbe) ma la comunicazione (come può).

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La cosa più difficile non è fare la cosa giusta, ma avere le idee chiare.

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Far circolare le informazioni è un ottimo sistema per dare futuro alle proprie idee.

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La comunicazione senza la strategia è come una vettura senza motore.

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Non è in quello che facciamo il segreto del nostro successo, ma nell'entusiasmo che ci mettiamo e nella determinazione che usiamo.

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Ciò che rende bello il mestiere del venditore è la sua autonomia. Cercare di controllarlo è un danno che l'azienda si autoinfligge

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Comunicare non vuol dire spararle grosse ma tenere alta l'attenzione sull'operato della propria azienda.

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Lo stress del tempo che non basta mai è un'insidia sempre in agguato. Gestire la fretta impone capacità di analisi delle priorità.

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"Volere è potere" non esclude, anzi impone, che ci si sappia mettere nelle condizioni di potere.

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Se siamo pronti a prenderci i meriti dei nostri successi, dobbiamo assumerci la responsabilità delle nostre sconfitte.

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Un clima aziendale sereno è un'ottima base per un successo duraturo.

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Lamentarsi è costruttivo solo se è il punto di partenza di una soluzione. Spesso confondiamo la lamentela con la constatazione.

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Un ordine è un atto di reciproca fiducia, la base su cui si regge il mercato, il punto di partenza di un nuovo successo.

venerdì 5 giugno 2015

Vi farò star male!

Quali sono le differenze fra un uomo di marketing e un uomo di vendita?

L'uomo di marketing ha una missione, quella di generare nuove esigenze, aspettative, desideri, insoddisfazioni, bramosie nel consumatore poiché solo in questo modo costui può avvertire la necessità di acquistare e quindi perpetuare il fatturato e di conseguenza il profitto.

L'uomo di vendita ha una missione, quella di collocare il prodotto e, sopratutto quella di continuare a farlo nel tempo. Chi vende, che sia un agente di commercio o un negoziante, un artigiano o un esercente, ha necessità di entrare in empatia col cliente. Se non lo fa, se non è attento alle sue esigenze, se non ha cura delle necessità di chi dovrà acquistare, difficilmente riuscirà a portare a casa la pagnotta. Se piazza un bidone o colloca prodotti invendibili, non avrà più opportunità di vendere e dunque di guadagnare. Ecco perché è l'ascolto la dote principale di un venditore.

Quindi la sua attenzione verso il cliente, la sua empatia sono elementi per lui vitali e, al contrario dell'uomo di marketing ha la necessità di farlo star bene. In altre parole possiamo affermare che l'empatia è la linea di demarcazione fra uomo di marketing e uomo di vendita, ciò che li differenzia.

Cito le parole inquietanti riportate in un bel libro di Lorenzo Montagna Lavapiubianco.biz [ed. Hops - Tecniche Nuove] dove a pagina 4 riporta un testo di Frédéric Beigbeder: "Sono un pubblicitario, inquino l'universo, sono quello che vi fa sognare cose che non avrete mai." "Quando a forza di risparmi riuscirete a pagarvi l'auto io l'avrò già fatta passare di moda. Sarò 3 tendenze avanti riuscendo a farvi sentire insoddisfatti. Vi drogo di novità. Farvi sbavare è la mia missione." "Nel mio mestiere nessuno desidera la vostra felicità perché la gente felice non consuma."

Insomma, sintentizzando, "Vi farò star male"