martedì 24 maggio 2016

Nascondiamo il sito!

"Il dominio in basso, perché nessun lo veda!"
Sembra questo l'ordine impartito a cui tutti si sottomettono quando si tratta di decorare il furgone aziendale.

Fateci caso quando siete nel traffico: su 10 furgoni che incrociate, quanti riportano il dominio del sito internet in alto scritto in caratteri grandi che siano visibili anche a tre o quattro vetture di distanza?
Quasi tutti hanno la scritta in basso, e si può capire per le vetture immediatamente vicine al furgone, ma perché non ripeterlo in alto su tutte e tre (o quattro, quando possibile) le facciate? In questo modo il dominio si vedrebbe da lontano, anche agli incroci in attesa del verde si leggerebbe chiaramente per tutta la lunghezza del veicolo.
Invece, chissà perché, si preferisce scriverlo soltanto in basso, a caratteri piccoli e leggibile solo da chi è in prossimità dell'automezzo.

E' un atteggiamento miope che è duro a morire, quello di ritenere il sito internet un fatto secondario, privo di importanza rispetto al marchio. Non si comprende invece che il sito comunica l'impresa (individuale o multinazionale che sia), è anzitutto il biglietto da visita della ditta, e che più esso è visitato e visibile, maggiori sono le possibilità di incremento del fatturato.

L'ideale, dato il minimo tempo di esposizione nel traffico, sarebbe l'alternanza cromatica per facilitarne la memorizzazione (es. www.nomeditta.it dove "www." e ".it" sono in nero, "nome" in verde o blu e "ditta" in rosso) meglio ancora se il dominio fosse l'unione di parole chiave del settore di appartenenza (ma questo è un tema ben più complesso che riguarda il SEO e non ha  nulla a che vedere col tema di questo post).

Comunicare non è solo una questione di campagne, posizionamenti, pubblicità, pubbliche relazioni, ma anche di minimalia come questa: fare in modo che chiunque, a qualunque distanza, nel traffico possa ricordarsi del dominio del sito anche se è distante tre o quatto vetture dietro il nostro furgone.
Magari il cliente potrebbe essere fermo in coda a qualche  vettura di distanza in tangenziale, e magari potrebbe annotarsi il dominio o fotografare il furgone che, anche se lontano, ha la scritta ben visibile, per poi visitare con comodo a casa il sito.

Piccole cose ma che possono dare grandi risultati.

martedì 17 maggio 2016

La saggezza e gli affari

"Lo stolto è colui che non sa uscire dai guai in cui si caccia, l'astuto è colui che sa come uscire dai guai in cui si caccia, il saggio non si caccia mai nei guai."
Questo proverbio orientale dice molte cose sull'essenza umana, sulle sue debolezze e virtù. Nel commercio dunque l'imprenditore deve essere astuto o saggio? Stolto no di certo poiché chiude ancor prima che apra e se lo fa dura poco o comunque finché conviene a qualcuno.
Dunque astuto sì. Quali sono i comportamenti astuti per un imprenditore?

  1. Attenzione alla concorrenza. Osservarla per carpirne i segreti del successo, i pregi, i limiti le debolezze e le cose che funzionano.
  2. Informazioni sui clienti. Prima di stipulare un contratto, fare ricerche ad ogni livello, dalle visure camerali alle informazioni sul web, il suo sito, come si presenta, cosa dice, cosa fa e come lo fa. Se nasconde informazioni sulla ditta, chiedersi perché, i profili aziendali e personali sui social media.
  3. Informazioni su sé stesso. Cosa si dice di lui? Della sua ditta? Provando ad accompagnare il suo nome, e quello dell'azienda, in una ricerca sui principali motori ad epiteti, ingiurie, ma anche complimenti e riconoscimenti, cosa troverebbe? In altre parole, sapere se e cosa si dice di quello che fa lui e la sua impresa, come parlano di lui le persone.
  4. Informazioni sul mercato. Chi fa cosa e dove? Come usano i clienti ciò che lui produce o commercializza? Cosa influisce sulle sue prospettive? Verso cosa orientarsi per diversificare?
  5. Abile gestione delle risorse umane. Conoscenza delle persone che lavorano per lui, capacità di motivarle, abilità nel prendere decisioni, creare gruppo in cui tutti si sentano parte e abbiano piacere di comunicarlo all'esterno.
  6. Attenzione alla gestione finanziaria. Conoscenza delle convenienze in ambito fiscale, capacità di delega nello scegliere i contabili e i fiscalisti, adottare sane politiche commerciali o affidarle a persone di comprovata capacità.
  7. Pubbliche relazioni. Frequentazioni degli eventi importanti senza dispersioni in manifestazioni marginali per il proprio business, sapersi relazionare con tutti e inserirsi nelle associazioni che hanno il giusto peso per la qualità delle persone e la coerenza del business.
A ben guardare, si direbbe che sono più regole di buon senso che di astuzia.
Ma in realtà la vera astuzia è avere buon senso.

E il saggio? 
No, lui non si caccia mai nei guai. Non è un imprenditore. :)

lunedì 9 maggio 2016

Imporsi o proporsi, questo è il dilemma

Cos'è il saper vendere?
La capacità di saper parlare? Saper cogliere le debolezze e le nevrosi del cliente? Saper ascoltare? Saper trovare i punti deboli dell'interlocutore? Saper tacere al momento giusto? Saper enfatizzare? Saper mentire? Saper inventare l'inesistente? Saper indorare la pillola? Saper giocare d'astuzia?

Per molti è tutto questo, ma per chi fa, o ha fatto, questo mestiere non è così. Non è un "saper fare", certo ci vuole tecnica, conoscenza di psicologia della vendita, spirito di osservazione ma saper vendere è anzitutto sapersi relazionare col prossimo, saper entrare in sintonia con le persone, sapersi mettere nei loro panni, poiché solo così si possono aiutare le persone a stare meglio e dunque a far stare meglio il venditore. La vendita è un'operazione a somma positiva, una di quelle azioni cioè in cui tutti hanno un guadagno: il cliente, il venditore, la casa mandante. E la dote che conta ha un nome ben preciso: empatia.

La vendita non è aggressione, non è raggiro ma è proposta, condivisione e relazione. Con un atto di forza mi impongo, e avrò anche fortuna per una o più volte ma non sempre, anzi il cliente mi vedrà come qualcuno da cui difendersi, qualcuno da rifuggire, qualcuno che rappresenta un ingombro da contenere, un'ostilità con cui fare i conti.

La vendita, quella efficace, quella costruttiva, quella che dura nel tempo invece è fatta di intesa, di soluzioni non di problemi, è fatta di successi condivisi, magari piccoli ma costanti. Il vero venditore non vince il cliente ma lo con-vince, vince insieme a lui, perché ciascuno dei due ha il suo vantaggio. La chiave di tutto questo è l'empatia, la capacità di relazionarsi con gli alti, e l'empatia è fatta di due grandi virtù: coerenza con sé stessi e trasparenza con gli altri.

La coerenza con sé stessi è vitale perché comporta autocontrollo e capacità di rinuncia per un bene maggiore in un futuro a medio termine, la trasparenza con gli altri è la base per infondere fiducia nel prossimo e far contare su di noi, rendendoci punti di riferimento per i nostri clienti.

Il mondo del business è fatto di equilibri precari in continua evoluzione, non vince chi fa i colpi grossi, ma chi fa buoni affari duraturi nel tempo.

martedì 3 maggio 2016

I primi venditori

Chi sono i primi venditori di un’azienda? Chi trasmette fiducia in ciò che essa produce? Chi esporta gli umori aziendali fuori dalle mura dell’atelier, del negozio, del laboratorio? I dipendenti

Commesse, segretarie, operai, meccanici, tecnici, impiegati, collaboratori: tutti coloro che varcano ogni giorno la soglia dell’impresa (piccola o grande che sia) e ogni sera tornano a casa con qualcosa in più o in meno: il piacere di lavorare. 
In tempi di crisi è difficile essere sempre positivi: spese, tasse, mercati in recessione, difficoltà nei pagamenti sono altrettanti motivi per portare nella propria ditta un muso lungo così. Ma quello che inneschiamo, senza rendercene conto, con un simile comportamento è il radicamento della negatività, di una visione delle cose amara, di un orizzonte breve. 

Nella sua biografia di Steve Jobs, Jay Elliot ricorda un concetto importantissimo: "Non dobbiamo mai dimenticare che il comportamento dei dipendenti che stanno a contatto con il pubblico influenza molto l'idea che i clienti si fanno della nostra azienda." 
C’è poco da fare, se nell’azienda portiamo malumore questo si rifletterà nel clima che aleggia negli uffici, ogni dipendente, dal più vicino al più lontano, porterà con sé parte di questo malumore e lo spargerà con i clienti, i fornitori, in famiglia, con gli amici, con le persone care che a loro volta si faranno l’idea che lavorare in quell’impresa, per quell’artigiano, in quella bottega, in quel negozio dev’essere davvero triste e un’azienda così non lavora bene.

Possiamo davvero credere che queste persone compreranno, consiglieranno, frequenteranno quella ditta? Possiamo davvero credere che varcare la soglia di un luogo di lavoro ove regna silenzio, austerità, tristezza invogli a continuare a lavorarci? Certo, in tempi difficili, pur di portare a casa uno stipendio è difficile che qualcuno si dimetta, ma lavorare con entusiasmo è un’altra cosa

Portare in azienda un buon clima significa anzitutto voler bene a sé stessi, condurre una ditta in cui i dipendenti, seppur consci dei momenti difficili, credono in quello che fanno, in cui una radio (a volume accettabile) suona musica che alleggerisce gli immancabili momenti pesanti, in cui il titolare non è temuto ma stimato e rispettato, significa aiutare a dare speranza, significa spargere intorno al proprio disegno imprenditoriale positività che prima o poi ritorna.

Esasperare chi collabora con noi, rendergli la vita amara, è solo un gesto stupido che, prima o poi, conduce al declino oppure riduce le possibilità di successo facendo in modo che l’azienda si accontenti di piccoli risultati quando potrebbe ottenerne di ottimi. 
Il dipendente è anzitutto una persona e, come tale, va rispettata, se sapientemente motivata può contribuire alle fortune dell’impresa. Se, al contrario, è umiliato e frustrato, darà il minimo per mantenere il posto ma non di più e questo, fuori dall’impresa, si vede e parecchio. 

Il coraggio dell’ottimismo è il vero segreto di un’impresa di successo.