mercoledì 27 aprile 2016

Pronto? Mica tanto!

Sì qualcuno li chiama ancora così: i telefonini. Oggi sono smartphone, ci consentono di navigare in Internet, controllare il nostro computer in ufficio, organizzare i nostri affari, scrivere documenti, gestire siti internet e blog, inviare e-mail e moltissimo altro. Ma alla fine c’è una cosa che fa, ed è la più importante: fare e ricevere telefonate.
Potrà sembrare strano ma questo ruolo è spesso gestito molto male. Vediamo alcuni casi:

  1. Quelli del telefono sconosciuto, o è il nostro (per goderci uno dei pochi diritti che ci rimangono decidiamo di nascondere il nostro numero di telefono) o è quello di un potenziale cliente. Sovente non si risponde “…io se non vedo il numero non rispondo…” Bravo! E se è un cliente potenziale? “…io non voglio che vedano il mio numero di cellulare: è personale…” Ottimo! E se chi chiami non risponde ai numeri sconosciuti? Ecco due ottimi modi per perdere possibili affari
  2. Quelli che non rispondono e questo sembra plausibile: siamo impegnati, il lavoro, le riunioni, momenti personali… “…se è importante richiama…” Vero! Ma se intanto telefona anche al concorrente che invece risponde al telefono o richiama appena può? Non richiamare chi ci ha cercati, se siamo imprenditori, è un altro ottimo sistema per perdere opportunità di fare affari
  3. Quelli che non rispondono mai, a differenza dei precedenti costoro tendenzialmente dimenticano il cellulare a casa, in auto o in negozio ma poi richiamano. Può succedere una volta, ma a questa categoria succede praticamente sempre “…sono tanto impegnato…” Bene! Pensa: lo è anche chi ti sta telefonando… Altro sistema di perdere opportunità. 
  4. Quelli che "...adesso non ho tempo, richiami..." Come se solo loro avessero i minuti contati… e poi quel "richiami". Richiami? Un potenziale cliente, un contatto d’affari, se ci ha cercati è cortesia richiamarlo, se non lo facciamo è scortesia e, si sa, gli affari non vanno mai a braccetto con la maleducazione, anche perché chi maltrattiamo oggi, non sappiamo se è chi conterà domani, almeno per noi. 
  5. Quelli che smaniano di finire la telefonata come se chi li chiama fosse un inutile impiccio: se hanno chiamato vuol dire che un motivo ce l’hanno “…io lo odio il telefonino…” Certo! Ma se lo usassi come si deve, renderebbe. Del resto anch'io detesto il cavolfiore. Ma fa bene! 
Parlare al telefono è un’arte. Se sorridiamo durante una conversazione si sente, se manifestiamo disponibilità anche con i clienti petulanti (mica nessuno è perfetto) li mettiamo in condizione di fare affari con noi. Certo, a volte sono solo perdite di tempo, ma non è con i comportamenti stigmatizzati in questo articolo che facciamo il nostro interesse.

Il telefonino può essere un ottimo alleato dell’imprenditore, ma se lo usiamo male può rivelarsi una severa fonte di guai. Il telefono portatile, qualunque siano le sue prestazioni è uno strumento ormai indispensabile. Quando non c’era si faceva lo stesso a meno perché non ce l’aveva nessuno, oggi ce l’hanno tutti e quindi fare senza è davvero difficile, specie se si è imprenditori.

mercoledì 13 aprile 2016

Chi è sazio sta fermo, chi ha fame si muove sempre

Tanti sono i significati della parola Sicurezzapubblica, personale, militare, lavorativa, sociale, familiare, dei dati, psicologica e, infine, ma soprattutto, commerciale. Di frequente capita di sentirmi dire "questa cosa funziona così, sono sicuro di quello che faccio per cui non cambio". 

Questo concetto di sicurezza, sebbene comprensibile, è poco condivisibile. La sua adozione sistematica conduce al radicamento in quello che si fa e al conseguente allontanamento dall’innovazione e sperimentazione oltre alla decadenza nel tempo. 

Ammettiamolo: sperimentare è rischioso, costa sia in termini economici (materiali sprecati, tempo dedicato) sia in termini psicologici (incertezza, delusioni, fatica). Eppure le grandi innovazioni nascono proprio da questi “dolori”, da questa capacità di provare, di sperimentare, di non accontentarsi di quel senso di sicurezza che offre ciò che si sa fare bene e non tradisce mai, perché una cosa è fondamentale per chi lavora in proprio, per chi crea, per chi fa artigianato in ogni settore: non ci si può mai accontentare, e un artigiano è qualcuno che ama il proprio lavoro (altrimenti farebbe altro). 

Un antico proverbio Zulu recita che “chi è sazio sta fermo, chi ha fame si muove sempre”; chi ha una partita Iva non può stare fermo, e non può farlo per tante ragioni: tanto per cominciare perché tutto è in movimento, i mercati (di qualunque dimensione, di qualunque area geografica, di qualsiasi continente) sono in perenne cambiamento (che non sempre significa evoluzione), la concorrenza è continuamente in agguato (c’è sempre qualcuno pronto a mettersi in gioco e per farlo deve creare cose nuove, anche minime, ma quanto basta a rosicchiarci una buona fetta di profitto), la politica cambia continuamente le regole del gioco rendendo difficile ciò che prima era facile e viceversa, la finanza capovolge le tendenze dei mercati, le congiunture producono comportamenti d’acquisto imprevedibili, noi stessi siamo continuamente stimolati e condizionati da nuove idee, proposte, esigenze. 

È impossibile restare fermi, è pericoloso ancorarsi alle certezze che ci hanno sostenuto finora. Anzi, la nostra vera sicurezza deve essere quella di essere sempre in cammino, sempre pronti ad abbandonare il certo per l’incerto sicuri che, com’è già capitato, ogni passo in avanti sarà prima o poi un successo. Del resto l’esperienza e il buon senso (dote fondamentale da usare sempre e in ogni dove) saranno sufficienti a non farci fare delle stupidaggini, potremo sbagliare qualcosa ma ben difficilmente faremo un fiasco totale.

Un’innovazione che non offre i risultati sperati da qualche parte ci ha comunque condotti, qualcosa ce lo ha lasciato. Sta a noi saperne cogliere e leggere le potenzialità e pensare a nuove sfide senza perdere di vista gli errori commessi. Come dice un antico adagio italiano: “sbagliando s’impara”. Migliorando.

martedì 5 aprile 2016

Più ne sai meno ti pago

Succede spesso, molto più frequentemente di quanto si pensi.
Il cliente richiede una consulenza su un servizio e chiede lo sconto. Lo fa in buona fede, perché è abituato così, ma non considera un parallelo impossibile da praticare: la competenza.

Facciamo un esempio: se mi rivolgo ad un piastrellista per farmi rifare i pavimenti di casa e chiedo lo sconto, l'artigiano per stare dentro i costi e trarre il proprio profitto dovrà risparmiare su qualcosa, magari mi fornirà piastrelle di seconda scelta sperando che tutto vada bene, ma alla fine lo sconto avrà avuto una sua logica e sarà stato "sfogato" da qualche parte.
Su una consulenza invece che può fare il consulente? Offrire una parte minore di consulenza? Può dare un "sapere minore" al cliente?
Un consulente viene pagato per quello che sa, non per quello che fa.
Se io ho determinate competenze, o le ho (e quindi le esercito) o non le ho. Non posso offrire una versione minore di quello che so, semplicemente perché essa non esiste.

La parcella tiene conto dei costi, fissi e variabili, del tempo dedicato al cliente, di quanto ci si è spesi in corsi, aggiornamenti, seminari, studio e quant'altro necessario per offrire al cliente la soluzione migliore.

Al massimo l'unico sconto plausibile è quello marginale sul tempo: se mi chiedi di fare gli aggiornamenti di sicurezza su un sito internet e creare gli articoli per il tuo blog, facendo le due cose nella stessa giornata e non in tempi diversi, posso metterci per ciascuna di esse un po' di meno e quel "po' di meno" posso scontarlo, ma nulla di più.

Non sono i documenti che vengono scritti, magari frutto di un copia-incolla di proprio altro materiale, che determinano il valore della consulenza svolta, ma la competenza necessaria che si è acquisita per fare in modo che essa sia realmente utile al cliente e gli permetta di ottenere il meglio al giusto costo.