mercoledì 22 giugno 2016

Tempi acerbi

Chi ha i capelli bianchi e magari piuttosto radi come me, e qualche ruga sulla pelle sicuramente ricorderà l'Olivetti Quaderno, il primo vero netbook che sia stato messo in circolazione e che anticipò i moderni dispositivi che ben conosciamo. Risale al 1992, più o meno nello stesso periodo in cui nacque Simon il primo smartphone progettato da IBM e commercializzato dalla BellSouth.

Entrambe queste macchine non ebbero la fortuna che meritavano (sebbene a modo loro, per l'epoca destarono un certo interesse) e perché si giungesse alle attuali devices che ne hanno sviluppato il concetto ci sono voluti due decenni.

Anche se ben concepite queste due novità erano in anticipo (troppo) sui tempi: i sistemi operativi non erano adeguati e pensati per "girare" in maniera ottimale su queste macchine, anche se Windows 3.1 era ben performante sui computer portatili dell'epoca.

C'erano fior di uffici marketing dietro questi prodotti ma non riuscirono a imporre ai mercati questi percorsi tecnologici come ha poi fatto, una decina di anni più tardi, Steve Jobs con l'iPhone o l'Asus EEpc.

Queste due esperienze insegnano che tenere le "antenne dritte" e saper fiutare i mercati è decisivo per collocare quello che si sta facendo. Proporre novità e idee rivoluzionarie comporta un'ottima preparazione e studio dei mercati e non è detto che, malgrado le attenzioni e le competenze messe in campo, si conseguano risultati soddisfacenti. Essere troppo avanti può produrre danni (essere innovativi è cosa buona e giusta, esserlo "troppo" no)

A livello di piccola impresa, l'attenzione ai mercati significa tenere sempre d'occhio le richieste dei clienti, cercare di capire come usano i prodotti che gli vendiamo, osservare cosa fa la concorrenza, analizzare la pubblicità che si rivolge ai nostri clienti: quali valori promuovono, a cosa danno priorità, giocano sulla novità o sul prezzo, che messaggi fanno passare...

Ogni mercato ha le sue caratteristiche ma i clienti sono sempre persone che hanno bisogni differenti e riconducibili a comportamenti generali che possono essere la fortuna o la sfortuna di un progetto.
Talvolta, per il bene dell'azienda, una buona idea è meglio che resti nel cassetto in attesa di tempi maturi, perché quelli acerbi ne decretano la morte prematura.

martedì 7 giugno 2016

Eccessivo intimo

Sugli slip (i miei) leggo Pinco Pallo Pinco Pallo Pinco Pallo (sì forse ce ne sono di più: non ho proprio un girovita da modello) e penso che quest'uomo (tal Pinco, detto Pallo - il nome è di fantasia per non fare pubblicità gratuita) debba essere un ottimista. E in fondo è un po' vero se i soldi li ha fatti (la qualità non si discute). Però quella scritta ("firma" è un po' troppo) è, a mio avviso, un tantino eccessiva.
Se quella ripetizione ossessiva serve a chi le indossa (a me) credo che sia inutile, se le porto (comprate o ricevute in regalo) so che sono fatte dalle sue fabbriche a meno che lui non creda che io sia "di memoria debole". Se serve ad esser letta da chi condivide la mia intimità è ottimista, perché si presume che io abbia di queste occasioni (cosa che purtroppo non è) e poi, diciamocelo, in quei momenti durano poco addosso, almeno per gli uomini (per le donne magari...). Se poi serve a richiamare l'attenzione sul suo marchio è del tutto superfluo: non vado certo a comprare un profumo solo perché porto le mutande firmate col nome di chi produce le une e l'altro.
Qual è allora il significato di quella ripetizione continua? Probabilmente, a seguito della moda dilagante dei pantaloni abbassati, quello che resta in evidenza anche da lontano è la griffe degli slip.
Insomma, un oggetto intimo non è più tale perché l'intimità è quella virtù che si perde nel momento in cui si manifesta.
Dunque divento da consumatore a "veicolo" del marchio (brand, per essere raffinati), perdo il mio status di "terminale", di "obiettivo" per assumere quello di "strumento", di "testimonial". Non più io, ma ciò che indosso.
Tengo su i pantaloni. E ben allacciati.