giovedì 21 maggio 2015

Aforismi di febbraio e marzo 2015

La premessa del libro è che ogni mattina, di ogni giorno lavorativo, pubblico una "pillola" su Twitter che si ribalta automaticamente sul mio profilo personale Facebook e sulla mia pagina Facebook Izzinosa.it

Periodicamente in questo blog pubblicherò gli aforismi del mese precedente, in questo modo il libro continuerà il suo percorso accompagnando il lettore con l'evoluzione dell'idea editoriale.

Buona lettura.

11 febbraio - 31 marzo 2015

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Ogni scelta va ponderata attentamente, poiché nulla ci restituirà il tempo perduto dietro ad un errore di valutazione.

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Proporre senza mettersi in gioco è come dire "armiamoci e partite". Le proposte hanno senso quando si è disposti a sostenerle.

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Ciò che decide l'imprenditore condiziona l'azienda. Ciò che decide il mercato condiziona l'imprenditore.

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Nessun venditore ha la verità in tasca. Negoziare significa saper ascoltare.

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Spesso prepararsi al peggio è il miglior metodo per ottenere il meglio.

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Semplificare è migliorare.

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Fare dando importanza agli altri rende molto più che fare isolati. Nessuno è un'isola, nemmeno un'impresa.

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Se non ci mettiamo l'anima le idee non servono a nulla.

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Fare e costruire sono due cose diverse. È l'entusiasmo che fa la differenza.

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Vendere non è una certezza, è un metodo.

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Ogni errore commesso, è un altro passo in avanti. Sta a noi orientarlo verso il successo o verso la rovina.

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Dire non necessariamente significa comunicare se non c'è l'interlocutore al centro dell'attenzione del parlante.

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Il sito internet malfatto o improvvisato produce danni sul breve termine e costi sul lungo termine.

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Dire che il problemi personali devono stare fuori dalla porta del posto di lavoro è come dire che il vento non deve soffiare.

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Ciò che avviene alla luce del sole, spesso è stato pensato alla luce della luna.

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Il rischio d'impresa è un ostacolo che si supera con la determinazione. Le idee chiare sono il frutto di una volontà forte.

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Ogni grande idea è fatta di tanti piccoli pensieri.

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E' nella cura dei dettagli che si annida il successo dell'impresa.

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L'impresa è fatta di tante piccole e grandi cose. Il segreto del successo passa anche per una saggia gestione delle priorità.

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La preparazione meticolosa di un evento professionale non deve togliere spazio alla fantasiosa gestione dell'imprevisto

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Fa più danni un atteggiamento sbagliato che una congiuntura economica.

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Crescere professionalmente comporta determinazione, impegno e consapevolezza di non sapere.

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Disfare talvolta è il miglior modo di fare.

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Ogni impresa ha una sua logica, quella vincente appartiene alle aziende che sanno di non essere le sole sul mercato.

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Con i colleghi di lavoro passiamo più tempo che con le nostre famiglie. Rendere difficile la vita agli altri è farci del male.

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Il sito internet è uno strumento di lavoro per l'impresa, non un palcoscenico per chi lo realizza.

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Costruire richiede pazienza ma impone impegno. I risultati non sono frutto del caso ma della determinazione

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Non basta sapere, bisogna fare. Il successo imprenditoriale è nella capacità di convogliare le competenze in atti concreti.

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Vendere con coscienza significa produrre conoscenza, anche minima.

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Il marketing è uno strumento non un fine.

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L'essenziale non è esserci ma durare.

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Comunicare l'impresa vuol dire dedicare tempo a pensare come gli altri giudicano il nostro lavoro.

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Se nel progettare il sito internet si è anteposto il marketing al lato tecnico allora funzionerà. Altrimenti saranno guai.

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Le competenze dell'imprenditore sono efficaci se integrate con quelle dei collaboratori. Nessuno è un'isola. Nessuno vince da solo.

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L'immagine aziendale è una di quelle caratteristiche che richiedono anni per essere create e attimi per essere distrutte.

lunedì 18 maggio 2015

Gli occhi negli occhi

Alla soglia dell'ultimo giorno del Salone Internazionale del Libro di Torino, prima di trarre le dovute conclusioni e avviare le successive azioni di marketing, emergono le prime sensazioni da questa faticosa ed entusiasmante kermesse.

Anzitutto la gente. Un concetto vasto, ampio, immenso. Non ha la connotazione politica del "popolo" o quello quasi spregiativo della "massa" e nemmeno quello caotico della "folla". L'immagine della gente è quella di tante teste, volti, occhi, sguardi, atteggiamenti, movimenti che ci include, ci avvolge e ci coinvolge.

Poi le persone. Coloro che si avvicinano, che emergono dall'insieme della gente e che interagiscono talvolta anche solo con uno sguardo o con un sorriso. Coloro che ci trasmettono qualcosa anche senza rendersene conto.

Infine gli incontri. Le persone che interagiscono direttamente, con cui si parla, si ride, ci si mette in relazione senza troppi formalismi. Sono momenti formativi, si impara, si offre qualcosa: idee, spunti, stati d'animo, parole di lieve conforto.

Tutto questo è il meraviglioso della fiera, un intreccio infinito e continuo di esistenze, di umanità che si rinnova ogni volta e che nei casi più intensi si sintetizza negli sguardi che si incrociano, quando ci si guarda negli occhi e si capisce che anche per pochi secondi c'è un'intesa da cui si esce più ricchi, di poco o di molto non conta, e che quella ricchezza farà parte di noi.
Anche se non ce ne accorgeremo mai.

domenica 10 maggio 2015

Spaccheremo il culo ai passeri!

"Guardi... vogliamo fare una cosa che nessuno ha fatto fino adesso!
Un portale grande, ma grande davvero, mica le cagate che fanno in giro!
Prenderemo venditori in ogni regione che dovranno vendere gli spazi sul nostro portale. A tutti, alimentari, mobilifici, concessionarie, architetti, tutti... quando dico tutti, dico tutti!"

"Ma ci sono già portali di questo tipo che..."

"Nooo... Izzinosa, non ci siamo capiti! Qui non si tratta di un'esposizione, qui si fa sul serio! Qui noi facciamo in modo che in America vedono i prodotti fatti qui e li vengono a comprare sopra internet! E' chiaro?"

"Capito! Ma in America avete già contatti che..."

"OOOOhhh! Izzino' e ci dia il tempo! Cominciamo a piccoli passi, lei ci fa il sito, ma che sia un sito grosso, mica cazzate eh? [come se io abitualmente...] Qui dobbiamo spaccare il culo ai passeri! Ci dica quanto fa?"

A parte che i passeri prima di farsi spaccare qualcosa li devi prendere, e non è facile, la cosa più grottesca di questo colloquio (purtroppo tutto vero!), a dir poco allucinante, è che chi proponeva questa stupidaggine proveniva da tutt'altro settore, e definiva internet fino a pochi mesi prima "tutte cazzate!".

Tutto si può fare, non bastano i soldi (quelli contano ma devono essere investiti bene), ci vogliono tanti elementi: esperienza, competenza, contatti fra le parti che si vogliono mettere in gioco, obiettivi concreti, pianificazione, business plan e molto altro ancora. Invece proprio chi non conosce internet crede che sia un ambiente facile, dove arricchirsi richieda poco e sia una passeggiata. Non funziona così. Non funzionerà mai così. E' il pensiero dei furbi, o di coloro che si credono tali.
I risultati migliori si conseguono con molto impegno e arrivano dopo molto tempo.

Ah! Dimenticavo: sull'albero di fronte all'ufficio del protagonista di questo colloquio, i passeri stanno bene da generazioni. E ci hanno pure fatto il nido.

sabato 9 maggio 2015

L'inganno della qualità

- Il mio prodotto è fatto così bene che si vende da solo!
- Come vanno le vendite?
- Il solito schifo!
(dialogo realmente avvenuto)

Siamo così bravi a fare le cose che ci dimentichiamo di farlo sapere. Oppure lo trascuriamo, oppure lo facciamo improvvisando, oppure ci affidiamo alla buona sorte...
Succede spesso di incontrare imprenditori che puntano tutto sulla qualità, convinti che questa sia il trattore del successo.

Magari fosse!
Il fatto è che la parola "qualità" è usata e abusata. Oggi tutto è di qualità: dallo stuzzicadenti alla componentistica industriale. Tutto verniciato con questo concetto. Spesso è vero, talvolta no.

D'accordo, la qualità c'è (o almeno lo voglio sperare) nella maggior parte dei casi ma se poi non sappiamo far venire la curiosità nella gente di venircela a cercare a cosa serve?

Ci sono imprenditori che offrono prodotti di una qualità inferiore ma sanno venderla, sanno farcela trovare anche quando ce n'è poca. Sono bravi? Sono disonesti? Sono furbi? No! Sono attenti.
Semplicemente hanno capito che la qualità (salvo casi al limite della truffa) è in funzione delle aspettative dei clienti. Sanno che se sapranno solleticare la curiosità e l'attenzione dei potenziali clienti, venderanno meglio. Venderanno di più.

Per qualcuno questo è l'elogio alla disonestà. Per altri, e io fra loro, è il senso degli affari cioè l'efficacia del proprio lavoro in funzione dei propri clienti, e si resta sul mercato soltanto se si hanno clienti (non tutti ci pensano abbastanza).

Dunque quando c'è la qualità è doveroso saperla vendere, saperla esporre, saperla trasmettere poiché la qualità ha un costo, un costo perduto se la sua percezione è affidata all'oggetto.
Ma ha un costo proficuo se valorizzata e sapientemente venduta.

giovedì 7 maggio 2015

Il barocco in ufficio

E' vero, adoro Mozart, Haendel, Haydn, Benedetto Marcello, Pergolesi, Vivaldi: straordinari autori del Barocco. Ma sentirsi dare del "barocco" (non del "brocco", quando una vocale fa la differenza!) durante l'analisi di un lavoro significa una sola cosa: stiamo aggiungendo orpelli inutili a qualcosa che è efficace già di suo.

In cosa si manifesta il "barocchismo"? In quel tocco di inutile, lezioso, noioso, in quello svolazzo compiacente che nelle intenzioni di chi lo compie dovrebbe conferire maggior prestigio, attenzione e autorevolezza a quanto si sta facendo.

Esempi di barocchismi sono il Voi in luogo del voi (o Suo in luogo di suo), il Sempre a Vs. disposizione (che porta alla mente l'inchino con mano sinistra sul cuore, destra in alto che impugna il cappello piumato, piede sinistro avanti e destro poco arretrato), le ripetizioni inutili di quanto sia importante un concetto o la collaborazione, ma anche eccessi di colore, di decori, di parole, di ripetizioni ecc. ecc.

Serve a qualcosa? Sì, come uno spicchio d'aglio in una brioche alla marmellata!
Suona sincero come come una moneta di plastica, pesante come un'impepata di cozze a colazione.

Garbo, forma e cura dei contenuti sono essenziali per arrivare al nocciolo della questione che è e resta l'unico fine della nostra comunicazione. Punto.
Il resto è barocco.

martedì 5 maggio 2015

Le cinque regole per affrontare il problema (e farsi odiare)

Succede che ci si trovi alle prese con un problema, e che la soluzione sia lontana dal venirci in mente.
Come comportarsi in questi casi? In cinque punti vedremo come magari non si risolva la questione, ma ce ne si esca con la minor quantità di danni possibile.

1. Una soluzione per ogni problema
Se non ci fosse un problema a cosa servirebbe la soluzione? Forti di questa considerazione possiamo darci un tono: qualunque cosa diremo basterà farla passare come una visione della soluzione.

2. Il problema è altro
Quando la soluzione è distante e non se ne viene a capo, un modo elegante di aggirare il problema è inventarsene uno nuovo che sia collegabile a quello principale. Ingarbuglia la matassa è vero, ma se sappiamo giocarci bene le nostre carte ci farà apparire come pensatori acuti.

3. Il fattore tempo
Il tempo c'è? Bene! Allora procrastiniamo. Magari a qualcuno verrà un'idea.
Il tempo non c'è? Pazienza! Se tutto andrà bene avremo fatto bella figura dimostrando di saper lavorare bene sotto sforzo (a patto che nessuno ci prenda l'abitudine), se tutto andrà male potremo sempre dire che col tempo che avevamo a disposizione non ci si poteva aspettare di più.

4. Lavoro di squadra
Coinvolgiamo sempre qualcuno. Più siamo, più le colpe si possono suddividere. Alle persone piace sentirsi utili, perché non approfittarne?

5. Io ci avevo pensato
Se qualcuno trova la soluzione prima di noi, non abbandoniamoci alla frustrazione, sarà sufficiente affermare di averci già pensato ma di non aver avanzato la proposta perché non del tutto convinti ma in effetti il collega ha ragione. Bravo. In questo modo si passa per paraculi (cosa che in effetti è...) ma, complimentandosi con il collega, lo si pone nell'impossibilità di farcelo pesare.

Non sempre la strada migliore fra due punti è quella più breve, spesso arrampicarsi sugli specchi può essere un utile esercizio.

domenica 3 maggio 2015

Ufficio complicazioni affari semplici

Non vi è mai capitato di lavorare con qualcuno che trova sempre il modo di rendere difficile ciò che è facile?

A me mai.
Fortunato?!? No! Il fatto è che sono io quello che rende difficili le cose facili.

E' un'arte sapete? Si comincia dal considerare il problema nel suo complesso, poi lo si capovolge, lo si rigira, lo si rivede e ci si pone dalla parte della soluzione, quella sbagliata ovviamente.

Constatata l'inadeguatezza della soluzione ci si infila nei meandri del problema cercando tante soluzioni (sbagliate pure quelle) a ciascun suo aspetto. Quando finalmente la matassa è così ingarbugliata che non se ne viene fuori neanche con la motosega, si ricorre alla carta.

La carta! L'ultima spiaggia di chi ha le idee confuse. O meglio, se tutto fosse cominciato da lì poteva anche andare tutto bene, ma se la carta è l'ultima soluzione allora è la fine. Si tracciano linee, infografiche quanto meno discutibili e imprecise, di qua i pro e di là i contro... no ma questo è un contro, sì ma un contro che sta anche fra i pro... no... allora altro foglio, alto giro di carta... qui c'è il problema, qui siamo noi, qua la soluzione, quanto siamo distanti noi da lei? Un casino!

Si continua così fino a sette o nove fogli (mai fino a dieci, ai pasticcioni i numeri tondi non piacciono mai). Infine, al colmo della confusione (dopo aver passato tutti i dubbi esistenziali come: perché ho scelto questo lavoro, chi me lo ha fatto fare, ma io volevo fare il tranviere, e così via), si mette tutto nel cassetto (o si chiude la cartella). Si lascia riposare qualche ora o qualche giorno e poi si riaffronta (se proprio è necessario).

Prima o poi passerà qualcuno che, armato di un sorriso leggero e ricco di compassione, ci dirà: ok! Io farei così. E tac! E' fatta! Il problema è risolto, la faccenda è chiarita, la questione è esaurita.
E noi pure.

venerdì 1 maggio 2015

Vogliamoci male!

Lei compra quella roba lì? Ma allora si vuole proprio male!

Quante volte ci siamo sentiti dire una frase così da qualcuno che pensava di rendere interessante quello che vendeva svalutando quello che avevamo?

Vendere comporta rispetto per il cliente. Esordire disprezzando ciò che il cliente ha comprato, indossa o mostra, è un modo per farlo sentire cretino, incapace di scegliere bene e di sapere cosa sia meglio per lui.

Sono tante le ragioni per cui si fanno acquisti anche sbagliati: gusto personale, ricordi legati all'oggetto, non conoscenza di dettagli relativi a un prodotto o un servizio o conoscenza errata.
Tutti elementi che possono indurci in errore, ma che quando ci portano ad un acquisto ci sembrano giusti.

Di norma già accettiamo di malavoglia osservazioni sui nostri errori da persone care e stimate (è umano), figuriamoci da estranei a cui, in teoria, dovremmo pure dare i nostri soldi.

Quindi lei si vuole male!
Sì forse mi voglio male, ma me ne vuole di più chi non mi rispetta!