mercoledì 22 aprile 2015

La predica

"Dalla lettera di San Paolo Apostolo ai Corinzi:..."
Davanti ad un leggio, intraprendendo un simile argomento, è normale (anzi doveroso) assumere un atteggiamento riflessivo, compunto, ricco di rispetto per quanto si sta leggendo e per la sensibilità di chi sta ascoltando. Calma e lentezza devono aiutare a far penetrare le parole nei cuori dell'uditorio.
Dunque se siamo in chiesa questo atteggiamento è quello giusto.

Ma se stiamo parlando ad una platea di imprenditori, di potenziali partner d'affari, di rappresentanti delle istituzioni no. Dobbiamo motivare, entusiasmare, stimolare fantasia e interesse per quello che facciamo e per come potrebbe essere bello lavorare con noi e come noi.
Ci vogliono ritmo, scelta di argomenti che coinvolgano la platea, domande retoriche, un po' di sana ironia, coraggio, perché avere tanti occhi puntati addosso e tante orecchie in attesa di qualcosa di interessante, di "appetitoso" da sentire mette addosso ansia e può arrivare a bloccare o paralizzare l'oratore.

Come se ne esce? Anzitutto avendo una traccia prima scritta e poi mentale; si stabiliscono quali sono i punti cardine che si vogliono esporre, li si traccia su carta, si mandano a memoria e poi si prova, si fa finta di essere davanti alla platea che si affronterà, magari con uno specchio davanti che ci dia l'idea di ciò che vedranno coloro che ascolteranno: se ci piace quello che vedremo, piacerà anche a loro, magari non a tutti ma non importa.

Leggere pedestremente un discorso annoia, specie se si usa un volume basso, un ritmo lento e pedante (e se non si è riletto più volte il testo). Tutto assume il tono di una predica, di qualcosa che nessuno vuole sentire, se non in chiesa appunto, dove però si sceglie di andare per motivi spirituali e non certo imprenditoriali.

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